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Rischi psicosociali: superare il “mosaico di approcci legali” diffusi negli Stati membri

Rischi psicosociali foro di Nick Shulahin Unsplash

La Confederazione europea dei sindacati pone da tempo il problema di una omogeneizzazione della gestione del rischio stress correlato al lavoro nei Paesi dell’Unione europea.

Diversi studi dimostrano che la mancanza di un dispositivo di legge, a livello comunitario, ha determinato una gestione diversificata sia per quanto riguarda l’introduzione esplicita dell’obbligo di valutazione e gestione nel quadro giuridico dei diversi Paesi, sia per quanto riguarda le concrete modalità di attuazione dell’obbligo di valutazione. D’altronde la Direttiva 89/391, prevedendo un obbligo generale di valutazione di tutti i rischi, non offre un quadro completo dei rischi da valutare (quindi non ha un esplicito riferimento allo stress) mentre gli Accordi (stress lavoro correlato del 2004 e sul mobbing e le violenze sul lavoro del 2007), come è noto, non sono giuridicamente vincolanti. Quel che si rileva è quindi un vero e proprio “mosaico di approcci legali” nei diversi Stati membri che “non offre ai lavoratori pari opportunità di protezione”.

A conferma di quanto affermato in merito al “mosaico di approcci” nel documento dell’Etui ricordiamo i dati emersi da una ricerca svolta tra sei paesi dell’Unione nel 2017, di cui diamo nella tabella seguente elementi di sintesi con riferimento agli aspetti legislativi e al recepimento dell’Accordo del 2004: ne emerge un quadro estremamente incoerente tra disposizioni legislative e applicazione dell’Accordo [1] che testimonia la necessità di un quadro comune di riferimento.

Paese Le disposizioni di legge in tema di salute e sicurezza sul lavoro considerano lo stress lavoro-correlato o i rischi psicosociali quali fattori di rischio Applicabilità dei criteri definiti nell’Accordo europeo
Italia a tutte le attività
Portogallo a nessuna
Francia a tutte le attività
Spagna No, vi è solo l’obbligo di ‘adattare il lavoro alla persona’. A tutti i settori a cui si applicano i contratti collettivi di cui all’Accordo
Romania a nessuna
Ungheria a tutte le attività
Lituania No a nessuna (il recepimento nazionale dell’Accordo non ha natura vincolante)
Grecia a tutte le attività

Pienamente quindi condivisibile la posizione citata dall’Istituto sindacale europeo [2], secondo cui:

Per garantire un livello simile di protezione dei lavoratori, dobbiamo colmare il divario tra i principi teorici di prevenzione affermati a livello comunitario e le pratiche a il livello nazionale. La lacuna degli Accordi quadro dimostra la necessità di requisiti giuridicamente vincolanti per affrontare efficacemente i rischi psicosociali nell’Unione Europea [3].

Il documento dell’Istituto europeo offre quindi alla discussione tre esempi nazionali di gestione del rischio stress considerati particolarmente significativi.

Svezia: approccio organizzativo olistico
  • La Svezia ha adottato una legislazione sui rischi psicosociali più di 30 anni fa sulla base di un approccio olistico, successivamente in tegfrata.
  • L’approccio svedese enfatizza la dimensione organizzativa dei rischi psicosociali e punta a creare un buon ambiente di lavoro.
  • Manager e supervisori devono essere formati per prevenire e gestire i rischi psicosociali.
  • Nel 1977, la Svezia ha adottato la Legge sull’ambiente di lavoro che, pur non citando esplicitamente i rischi psicosociali, prevede che “la tecnologia, l’organizzazione del lavoro e il contenuto del lavoro devono essere progettati in modo tale che il lavoratore non sia sottoposto a tensioni psichiche che possono portare a malattie o incidenti”.
  • Successive disposizioni, nel 2015 – relative alla sicurezza e salute sul lavoro, alla prevenzione, all’impatto sulla salute dei lavoratori degli aspetti organizzativi e sociali – offrono ad esempio, la definizione di carico di lavoro insalubre che riecheggia la definizione comunemente accettata di stress e si fa riferimento ai carichi di lavoro eccessivi, ai compiti e alle risorse. Inoltre si pone l’accento sulla formazione di dirigenti e preposti, non solo lavoratori.
Belgio: Quadro legislativo dettagliato sui rischi psicosociali
  • Le disposizioni legislative del Belgio sui rischi psicosociali riflettono i principi di prevenzione della direttiva quadro.
  • Il Codice del Benessere prevede – con il coinvolgimento dei lavoratori e dei loro rappresentanti – un obbligo di valutazione, prevenzione e adattamento del posto di lavoro in relazione ai rischi psicosociali.
  • Obblighi di informazione, formazione e consultazione.
  • La legge belga prende in considerazione specificamente i rischi psicosociali: il piano di prevenzione prevede tre tipi di prevenzione: primaria, misure pratiche e organizzative volte ad eliminare definitivamente rischi; misure secondarie volte a limitare ed evitare il danno; e in terzo luogo misure applicabili quando il datore di lavoro non è stato in grado di evitare rischi o eventuali danni.
  • Il quadro giuridico prevede tuttavia una flessibilità che permette di tenere conto della specificità delle imprese. Il Belgio ha un sistema proattivo, piuttosto che reattivo, per la prevenzione dei rischi psicosociali. La legge impone ai datori di lavoro l’obbligo di identificare e adottare procedure per evitare un deterioramento delle relazioni interpersonali relazioni e situazioni che favoriscono comportamenti inaccettabili, come molestie o violenza.
  • La legge belga non fa riferimento solo al concetto di rischi psicosociali, fornisce anche una definizione giuridica che è più ampia includendo le molestie e il bullismo.
  • Il Codice del benessere fornisce inoltre specifiche disposizioni per affrontare l’aspetto organizzativo dei rischi psicosociali.
  • Le procedure interne sono incentrate sulla prevenzione precoce di tensioni con l’intervento del consulente PSR o di persona di fiducia. Un lavoratore che soffre di problemi legati ai rischi psicosociali può contattare questa persona sul luogo di lavoro, durante l’orario di lavoro per chiedere un intervento (informale). Una volta che la procedura formale inizia, il lavoratore che ha denunciato è protetto contro la vittimizzazione. Se il procedimento fallisce o risulta insoddisfacente, il lavoratore può chiedere l’intervento dell’ispettorato del lavoro o avviare un’azione dinanzi al tribunale del lavoro. Con questa combinazione di procedure informali e formali all’interno dell’azienda, situazioni che avrebbero potuto precipitare possono ancora essere affrontato mediante le misure per ridurre i rischi psicosociali.
Danimarca: il concetto moderno di ambiente di lavoro psicosociale
  • Nel 2020 il governo danese ha adottato un’ordinanza per prevenire i rischi legati alla fatica mentale in ambiente di lavoro. Questa ordinanza completa la Legge sull’ambiente di lavoro (WEA), adottata nel 1977, che affronta l’ambiente di lavoro sia fisico che psicologico.
  • L’attenzione è rivolta prioritariamente agli aspetti organizzativi e non alla dimensione individuale della salute e sicurezza sul lavoro. La WEA è ampia e integra l’attuazione di varie direttive in materia di SSL, inclusa la direttiva sull’orario di lavoro, come parte della prevenzione generale della SSL.
  • I dipendenti possono presentare reclami all’Autorità per l’ambiente di lavoro in merito a mobbing o molestie sessuali, che può dar seguito ad un’ispezione specifica. Se l’Autorità lo ritiene necessario può emettere un ordine per indagare sull’ambiente di lavoro psicosociale con un’indagine obbligatoria servendosi dell’apporto di un consulente per la sicurezza e la salute autorizzato.
  • Nell’ordinanza del 2020 si considerano come aspetti psicosociali del lavoro: l’organizzazione e la pianificazione del lavoro, gli obbiettivi, il modo in cui il lavoro viene eseguito e le relazioni sociali sul lavoro.
  • Il datore di lavoro dovrebbe adottare misure per la gestione dell’ambiente di lavoro, con riferimento all’affaticamento mentale, tenendo conto della dimensione individuale e collettiva, ma anche degli impatti a breve e lungo termine delle misure adottate.
  • La seconda parte dell’ordinanza prevede disposizioni specifiche concernenti gli effetti individuali relativi all’ambiente di lavoro psicosociale per cui: il datore di lavoro dovrebbe prendere in considerazione l’estensione e la natura dell’esposizione; per valutare l’ambiente di lavoro mentale dovrebbe tenere conto dei forti carichi di lavoro, delle pressioni sui tempi di esecuzione, dei requisiti poco chiari o contrastanti sin merito ai compiti da eseguire, delle elevate esigenze emotive tra le persone, degli atti offensivi che includono bullismo e molestie.

Il documento sindacale conclude quindi sostenendo che gli esempi nazionali di legislazione in materia di rischi psicosociali illustrati dimostrano:

  • che è possibile dare una definizione legislativa dei rischi psicosociali quali rischi specifici.
  • che i principi generali di prevenzione possono essere flessibilmente adattati ai diversi contesti nazionali.
  • che è necessario il coinvolgimento non solo dei lavoratori e dei datori di lavoro ma anche dei dirigenti come attori attivi nella prevenzione aziendale dello stress.
  • che è inoltre utile la individuazione di una figura di mediazione per risolvere casi di conflitti e di tensioni in azienda.
  • che oltre ai principi della direttiva quadro sono necessari elementi specifici che esemplifichino il carattere di questi rischi (come è ad esempio nella legge danese)

Il documento auspica infine che la ricerca indaghi ulteriormente sulle buone pratiche nazionali per permettere di formulare un testo legislativo coerente con le migliori prassi.


NOTE

[1] Rest@Work, Reducing stress at Work, Progetto di ricerca finanziato dall’Unione europea cui hanno partecipato: Italia, Francia, Portogallo, Spagna, Romania e Ungheria.
[2] Etui (European Trade Union Institute), Psychosocial risks in Europe, Aude Cefaliello, 2021
[3] Scandella F. (2017) Europe: vers une éclipse des risques psychosociaux au travail, HesaMag n°16, 6-9.

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