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Lavorare con il tecnostress

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Il Quadro Strategico europeo in scadenza individuava, e sembra confermarlo anche il prossimo Quadro, due aspetti rilevanti per la Salute e Sicurezza: l’invecchiamento della popolazione e l’innovazione tecnologica. I due aspetti, per alcuni versi, sono legati.

Ci troviamo per la prima volta da alcuni decenni, per effetto sia di cause naturali come l’allungamento della vita che di innovazioni legislative, ad avere contemporaneamente presenti in azienda 5 generazioni di lavoratori dai baby boomers ai nativi digitali. Questo coincidenza comporta una serie di conseguenze dal punto di vista della comprensione intergenerazionale, del possesso di abilità tecnologiche, della salute. In particolare un senso di inadeguatezza, di una vita lavorativa che si trasforma in una moderna “fatica di Sisifo”. Facciamo qualche esempio. Uno degli effetti è il rovesciamento del processo di apprendimento. Non è raro infatti che i lavoratori più anziani non siano più, o non rappresentino più “le maestranze”, cioè coloro che da esperti insegnano il mestiere ai giovani appena assunti. Accade, più facilmente, il contrario, che si trovino in difficoltà nell’approccio al lavoro digitale rispetto a un giovane abituato ormai dalla nascita a quel tipo di approccio e di linguaggio. Un altro aspetto riguarda ciò che, a seguito delle nuove tecnologie, si va affermando come modalità lavorative.

È sempre più chiaro che il mondo del lavoro presenta due polarizzazioni. Da una parte ci sono modalità lavorative che richiedono un basso impegno professionale e dall’altra lavori, che al contrario, hanno sempre più bisogno di apporti professionali “alti”, specialistici.
Uno dei lavori tipici a bassa professionalità è quello dei riders. Attività che ha avuto un vero e proprio boom. Da poco è uscita una indagine su una delle tante società di consegna la Deliveroo. Una società che in un solo anno ha registrato un aumento di addetti di mille dipendenti, dagli oltre 6.500 del 2018 ai 7.500 di fine 2019. Sono lavoratori che hanno un’età media di 27 anni (ma non mancano i quarantenni) e tra loro aumenta il numero delle ragazze che passano dal 9% all’11% del totale. La maggior parte dei riders di Deliveroo collabora con la piattaforma per meno di 6 mesi in genere da Giugno a Dicembre. Negli altri sei mesi, coloro che collaborano, sono meno di 3.300.
I primi sono in genere studenti, i secondi coloro che lo svolgono l’attività di consegne spesso come secondo lavoro. Tra questi ovviamente ci sono persone di diversa età. Qui età e innovazione tecnologica si intrecciano creando inedite conseguenze. In un lavoro che richiede anche una prestazione fisica non trascurabile, l’età pesa come un handicap, mentre si registra la difficoltà a interagire con un “comando astratto” emanato da una impersonale piattaforma digitale, peraltro in continuo, cambiamento con cui non s’interloquisce, né si collabora. Ci si adatta.

Diversa è la condizione dei lavoratori della cosiddetta Industria 4.0. Con software sempre più avanzati, aiutati da attrezzature intelligenti capaci di comunicare reciprocamente in autonomia, macchine in grado di prendere decisioni da sole sulla base di serie statistiche. Macchine collaborative (i c.d. “cobot”, ovverosia robot collaborativi), che aprono a un lavoro di altissima qualità perché mentre la parte più routinaria viene assorbita e velocizzata dalla macchina, dall’altra, al lavoratore, dotato di accesso a una mole di dati impressionante e continuamente aggiornati, vengono richieste prestazioni di livello sempre più sofisticato. Un lavoro che può essere sviluppato ovunque e in qualsiasi ora del giorno (o della notte). Una attività sottoposta ai vincoli della velocità, della rapidità esecutiva, della saturazione del tempo che arriva ad annullare la classica divisione tra tempo di lavoro e tempo per sé.
Insomma, il lavoro digitale porta con sé opportunità e nuovi rischi lavorativi.

Per questo affiora sempre più spesso, negli addetti, un sentimento di inadeguatezza o un senso di isolamento, altre volte di onnipotenza, oppure di perdita della componente socio-relazionale sul lavoro. Come il cosiddetto FOMO (Fear Of Missing Out, ovvero l’ossessione di rimanere esclusi) o la c.d. Nomofobia (ossia il timore di restare disconnessi). Sono questi alcuni componenti del tecnostress.
Prevenire il tecnostress non è semplice proprio per la pluralità di difficoltà che lo causa. L’età, il linguaggio, i tempi, la fatica fisica o mentale, il ritmo dell’innovazione, le condizioni ambientali e contrattuali. Intervenire su tutti è un compito che le imprese e i lavoratori hanno oggi e ancora più nell’immediato futuro. Tenendo conto che un effetto delle piattaforme digitali, per tutti i tipi di lavoro, è quello di determinare comunque una necessità di decisione del lavoratore. Una forma, pur deformata, di autonomia.
Come fare? Ci sono numerosi studi che stanno ricercando le basi per impostare nuove politiche di prevenzione a questi rischi.

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