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Lavorare alla “carlona”

lavorare alla carlona

Numerose sentenze vengono emesse su casi di colpevole omissione, da parte del Datore di Lavoro (DdL) o di suoi dirigenti, di precise procedure, indicazioni e della relativa formazione nello svolgimento delle attività lavorative. I nostri nonni avrebbero detto che in questi casi si lavora alla “carlona”.

L’origine del detto viene dal francese “Charlon”, nome dato al re Carlomagno, detto, per l’appunto, re Carlone. Con “carlona” si intendeva “all’antica, alla buona” in quanto Carlomagno veniva descritto, nei tardi poemi cavallereschi, come un uomo molto semplice, alla buona, quasi “rustico”, e da qui “fare le cose alla carlona”, alla buona, appunto, come capita.

Ora, a più di un secolo dall’introduzione della via scientifica al lavoro da parte dell’Ing. Taylor, è ancora giustificabile che si lavori senza una pianificazione delle procedure, senza indicazioni chiare su cosa e come procedere nello svolgimento della mansione? In sostanza, è giustificabile l’improvvisazione? La risposta è scontata. Non tanto per un astratto bisogno di razionalità organizzativa, quanto per una evidente consapevolezza di cosa questo comporti. Quasi sempre un lavoro mal fatto sfocia in un danno, più o meno grave, alla salute di chi lavora.

Prendiamo una delle ultime sentenze della Cassazione Penale: sez. 4, sentenza n. 50440 del 13 Dicembre 2019. Il Datore di Lavoro è stato condannato a 4 mesi di reclusione, con sospensione della pena, per aver  violato

le norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro (artt. 17, comma 1, lett. a), 37, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008) e più precisamente per avere omesso di definire le procedure di utilizzo delle macchine e delle attrezzature di lavoro nelle operazioni di carico e scarico dei materiali, nonché per avere omesso ogni formazione sui rischi specifici connessi all’espletamento delle proprie mansioni e all’utilizzo delle macchine, sicché il lavoratore, nell’esercizio della sua attività di autista addetto al trasporto di materiali ferrosi, iniziava le operazioni di scarico del materiale, senza attendere l’arrivo della gru a torre, cadendo all’esito del ribaltamento del mezzo.

Il Datore di Lavoro in prima battuta si era difeso dicendo che questa era l’abituale mansione del lavoratore e che l’obbligo di formazione era stato assolto, portando un testimone a conferma delle sue affermazione. Inoltre sosteneva che

il dipendente era addetto  esclusivamente alle mansioni di trasporto e non di scarico del materiale ferroso ed essere stato diffidato più volte dallo scarico del materiale prima dell’arrivo del gruista, con conseguente verificazione del sinistro in virtù di una condotta della vittima esorbitante rispetto alle proprie mansioni.

Insomma, come di frequente emerge, il DdL avverte, ma il lavoratore va avanti di testa sua procedendo a svolgere la sua mansione in modo esorbitante, strano, bizzarro, rispetto alla “normalità” e alle consuetudini.

La Corte ha accertato invece che

la formazione espletata non si sia stata estesa ai rischi specifici connessi al trasporto ed alla consegna del materiale ferroso, ma sia stata del tutto generica, e, dall’altro lato, che lo scarico del materiale ferroso sia un’operazione ricompresa nel trasporto di tale merce, a cui il lavoratore era addetto in virtù della prassi aziendale, e che, quindi, l’infortunio si sia verificato nell’esercizio dell’attività lavorativa e non sia riconducibile ad alcuna condotta esorbitante rispetto alla prestazione lavorativa.

Anzi la Corte coglie anche in contraddizione l’accusato quando dice che

pur sostenendosi che il lavoratore non fosse incaricato dello scarico della merce, si asserisce, a p. 5 del ricorso per cassazione, che lo stesso N.C. era stato a più riprese diffidato dallo scaricare il materiale prima dell’arrivo del gruista.

Lo sgomento che coglie chi si trova a leggere questo tipo di sentenze è che le vicende che si concludono con infortuni si ripetono con cause e modalità sempre uguali da decenni.  Il lavoro non sembra essere ancora considerato un’attività da progettare passo dopo passo, studiata nelle sue diverse articolazioni e accompagnata da una attenta valutazione dei punti deboli che possano esporre a rischi. Sembra piuttosto assimilato a una qualsiasi attività hobbistica o domestica. Come può essere cambiare una lampadina. Si monta sulla scala e si fa. Intendiamoci, è sbagliato anche questa attitudine “familiare” , ma è giustificabile con l’assenza di conoscenze che sono invece la base fondante del lavoro professionale, di ogni attività produttiva che comporta il coinvolgimento di terzi. Le norme, in primis quelle sulla sicurezza, ma anche più semplicemente le norme di buona tecnica coadiuvate dell’esperienza sul campo, dovrebbero indicare anche al più sprovveduto organizzatore, o imprenditore, quali sono i passi di base per svolgere il proprio compito.

Il risultato di tanta superficiale improvvisazione e imperizia è che una persona ha subìto lesioni gravi (contusione della spalla destra con lussazione, contusione regione tempore parietale destra con annessa escoriazione, contusione gamba sinistra e parete toracica). E possiamo dire che è anche andata bene.

Nonostante l’accumularsi negli anni delle sentenze, rimaniamo fiduciosi della scomparsa a breve della figura dell’imprenditore “alla carlona”. E del fatto che diventi normale ricorrere a una corretta valutazione dei rischi per individuare i punti delicati delle mansioni aziendali, e porvi rimedio approntando le procedure “sicure”. Indicando a ogni lavoratore, anche ripetendo la formazione o con appropriati provvedimenti aziendali, il corretto modo di svolgimento del proprio lavoro.

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