L’affanno di Ennio: storie di malattie da lavoro

l-affanno-di-ennio

Abbiamo più di una volta presentato il lavoro che, da oltre un decennio, viene svolto nell’ambito del Progetto Storie di infortunio nato nel 2012 grazie al Centro di Documentazione per la Promozione della Salute (DoRS) e al Servizio di Epidemiologia della Regione Piemonte.

Il Progetto Storie di infortunio nasce poco dopo due eventi gravissimi il rogo alla ThyssenKrupp di Torino e l’esplosione presso il Molino Cordero di Fossano, per comprenderne le ragioni e superare il terribile senso di impotenza che tali eventi non possono non indurre. Le storie, oltre un centinaio, sono raccolte in un repertorio disponibile, ad accesso libero, sul sito web: https://www.storiedinfortunio.dors.it/. I fatti narrati sono realmente accaduti, le informazioni, raccolte e trascritte dagli operatori dei Servizi PreSal, divengono Studi di caso analizzati per capire e imparare dagli errori e ragionare su cosa si sarebbe dovuto e potuto fare per impedire che l’evento tragico si verificasse.

Ma il percorso storico sulle storie di infortunio è stato successivamente affiancato da un percorso ulteriore dedicato alle “Storie di malattie da lavoro”.

Metodi e finalità dell’uno e dell’altro sono i medesimi: valorizzare le potenzialità dell’approccio narrativo in direzione di una prevenzione partecipata, per cui ogni racconto di ciò che è accaduto e non avrebbe dovuto accadere contribuisce alla comprensione collettiva di quel che sarebbe stato possibile e necessario fare per evitare l’evento lesivo (o per lo meno per ridurne le conseguenze). [1]

Alla fine di giugno Dors ha pubblicato la prima storia di malattia professionale, L’affanno di Ennio (polvere di polvere) [2]. Così la presenta Luisella Gilardi. [3]

La polvere è il ricordo più nitido di Ennio, quando racconta del suo lavoro, una polvere che entrava nelle narici, si posava sui vestiti e sulla pelle.
Ennio ha da poco compiuto 75 anni, la qualità della sua vita è pesantemente compromessa da gravi problemi di salute, conseguenza di anni di lavoro in contatto con agenti chimici pericolosi come le fibre di amianto e le polveri contenenti quarzo, ma anche tanta di quella “polvere comune” a cui spesso non si dà peso, anche in edilizia.
È la prima storia di malattia da lavoro che pubblichiamo, grazie alla collaborazione con i colleghi della UOC Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro – Epidemiologia Occupazionale della AST Macerata presso cui è già attiva una comunità di pratica costituita da operatori della prevenzione di molteplice estrazione.

Leggere la storia di Ennio ci fa tornare indietro di decenni: sembra di ascoltare le testimonianze dei lavoratori dell’Eternit e dei loro famigliari in merito alle modalità di lavoro in azienda, tutte dettate dalle esigenze produttive senza misure di tutela talvolta neanche minime. Certo siamo agli inizi del secolo scorso, anni tuttavia in cui, a livello scientifico, già si conoscevano i danni irreparabili che l’esposizione all’amianto poteva procurare.

L’affanno di Ennio

Luogo: Roma e tanti altri posti in Italia e all’estero.
Data (delle esposizioni): 1990 – 2020.
Comparto: Edilizia specializzata.
Esito: Ennio ha un’insufficienza respiratoria importante.
Dove è avvenuta l’esposizione: i n cantieri per restauro di edifici monumentali antichi (palazzi, chiese, singole abitazioni…), anche con “superfici decorate”, scavi archeologici, ristrutturazioni in genere.
Cosa si stava facendo: si demolivano pareti e pavimenti, si smontavano tetti, si recuperavano vecchi coppi, si portavano via vecchi manufatti “in Eternit”, si sabbiavano facciate e colonne, si scavava…
Descrizione della genesi della malattia: nel corso degli anni la polvere respirata sul lavoro, associata al fumo di tabacco, ha compromesso i polmoni di Ennio; si sono generate anche delle placche pleuriche, da ricondursi all’amianto.

Come prevenire

Facendo meno polvere che si può e quando, malgrado tutto, di polvere ce n’è ancora parecchia, usando delle protezioni respiratorie adeguate; siccome portare una maschera antipolvere (soprattutto se FFP2 o FFP3) dopo un po’ crea fatica respiratoria, soprattutto se si sta svolgendo un lavoro pesante, bisogna intervenire anche sull’organizzazione e i tempi del lavoro: alle fasi in cui è necessaria una protezione respiratoria vanno alternate delle pause di riposo.

Rinviamo alla lettura della scheda, che alleghiamo, per una più completa conoscenza della storia lavorativa di Ennio, mentre vi proponiamo di seguito le conclusioni finali di carattere preventivo proposte.

Ringrazio di cuore Ennio, che ha acconsentito a condividere la sua storia. Leggerla, ragionarci, discuterla può farla diventare uno strumento di prevenzione, perché (comunque si voglia interpretarla) aiuta a prendere coscienza di un problema: la polvere, di qualunque tipo, soprattutto se è tanta e la si respira per tanto tempo, mette a rischio la salute dei lavoratori edili anche in scenari nei quali si potrebbe essere portati a non riconoscerla immediatamente come un problema.
Tutti i lavoratori dell’edilizia devono respirare meno polvere che si può: con un’attenzione speciale quando è polvere che contiene amianto o quarzo, ma senza dimenticare che bisogna farle fronte comunque. Anche quando è soltanto “polvere di polvere”. Bisogna che di polvere (qualsiasi polvere) ne vada in giro meno che si può: bagnare dove questo non crea rischi di altro genere e aspirare ogni volta che lo si può fare, portando la bocca dell’aspiratore il più possibile vicino al punto stesso in cui la polvere si genera.
E quando di far polvere non se ne può fare a meno? Non si può fare a meno di protezioni respiratorie adeguate: non “mascherine” purchessia, ma maschere antipolvere vere e proprie (quelle che coprono naso e bocca e sono marcate con una sigla FFP1 o FFP2 o FFP3), bene indossate e sostituite con regolarità. Qualsiasi lavoratore dirà che la maschera lo affatica, soprattutto la FFP3 che trattiene la maggior percentuale di particelle; è certamente così, far passare l’aria attraverso un filtro (sempre più fitto passando dalla FFP1 alla FFP3) ha un prezzo, dopo un po’ davvero si percepisce “il lavoro di respirare”, soprattutto se l’attività che si svolge è pesante. Quindi bisogna intervenire anche sull’organizzazione e i tempi del lavoro: alle fasi in cui è necessaria una protezione respiratoria vanno alternate delle pause di riposo.
E senz’altro ci vuole anche meno fumo. Meglio ancora: “niente fumo”. È bene che i lavoratori se ne rendano conto già da giovani, prima di arrivare a far fatica a salire le scale. Ah, Ennio ha detto di aver perso peso. Dovrebbe tornare in ambulatorio tra qualche giorno, magari per prenderci assieme un caffè. Spero di potergli dare buone notizie. [4]

Il testo della scheda è stato discusso e rivisto in comunità di pratica e in tale ambito si è provveduto anche all’elabora­zione condivisa delle “raccomandazioni” ovvero “indicazioni per la prevenzione”, con contributi importanti di (in ordine alfabetico) Paolo Chiappini, Alessia Giarrusso, Luisella Gilardi, Davide Giorgi, Rita Leonori, Maurizio Marino, Stefania Massacesi, Maria Letizia Novello, Daniele Paciacconi, Andrea Sbrancia. Il testo finale è stato rivisto dall’autore.


NOTE

[1] Snop, Come il metodo narrativo può valorizzare la prevenzione degli infortuni e delle malattie da lavoro.

[2] A cura di Roberto Calisti, UOC SPreSAL Epidemiologia Occupazionale di AST Macerata

[3] Luisella Gilardi: Esperta in documentazione scientifica sui temi dell’equità nella salute, della sicurezza e salute sul lavoro. Collabora all’implementazione della banca dati sul rischio cancerogeno MATline e del Catalogo di Azioni ben descritte Rivolte all’Equità (CARE). Fa parte del gruppo regionale “Health Equity Audit del Piano Regionale di Prevenzione (PRP)”. Collabora al progetto “Storie di infortunio”. È caporedattrice del sito Disuguaglianze di Salute.

[4] Roberto Calisti, UOC SPreSAL Epidemiologia Occupazionale di AST Macerata.

Lascia un commento