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Intelligenza artificiale: stiamo dimenticando come si lavora?

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L’intelligenza artificiale rappresenta un aspetto del mondo del lavoro la cui origine si può trovare già agli inizi della rivoluzione industriale: l’automazione. La sostituzione della forza lavoro da parte dei macchinari, cui i luddisti si opponevano già all’inizio dell’ottocento, si ripropone nel nostro mondo con la diffidenza verso le nuove tecnologie e il timore che esse possano creare disoccupazione e alienazione.

Questo tema impegna la ricerca nella valutazione dei rischi che potrebbero insorgere a causa dell’automazione contestualmente all’analisi dei benefici in termini di efficienza. La rapida introduzione delle nuove tecnologie, nello specifico l’intelligenza artificiale, e la mancanza di legislazioni aggiornate sono elementi che rende difficile individuare soluzioni.  

L’automazione generalmente semplifica il lavoro rendendolo meno faticoso o stressante. Anche prima dell’IA la semplificazione del lavoro grazie alle tecnologie era già entrata nella nostra vita, per esempio le compagnie aeree hanno automatizzato la maggiori parte delle operazioni in fase di crociera, decollo e atterraggio già dal 1952 e ormai da diversi anni si parla di “pilota automatico” anche nel mondo automobilistico con i primi esemplari già in circolazione.

L’automazione ha però anche un aspetto negativo: i lavoratori si disabituano al lavoro affidandosi alle macchine completamente. Questo problema fu portato tragicamente alla luce nel 2009 quando un jet della Air France si schiantò, senza lasciare sopravvissuti. Il sistema di autopilota dell’aereo si era spento e i piloti, essendo, diventati dipendenti dal loro assistente computerizzato, non furono in grado di correggere la situazione manualmente [1].

Eventi simili non sono isolati e toccano i più disparati ambiti del mondo del lavoro, dall’industria al commercio mondiale, dalla finanza fino alla giustizia, con recenti applicazioni negli Stati Uniti molto controverse e dibattute.

Secondo Tapani Rinta-Kahila [2], un ricercatore della University of Queensland (Australia) l’idea di affidarsi completamente alla tecnologia potrebbe contribuire a farci perdere l’abilita a svolgere quegli stessi lavori. Un fenomeno simile si verifica anche nel mondo del web e si chiama effetto Google: siccome abbiamo quello che cerchiamo a portata di un clic stiamo lentamente perdendo la nostra abilità nel ricordare fatti o informazioni [3].

Altro fenomeno rilevante che il ricercatore di Queensland individua è l’eccessivo disinteresse da parte delle aziende, del mercato e della politica (i responsabili della legislazione) verso gli impatti a lungo termine della crescente diffusione della IA.

Questo disinteresse ha avuto tre conseguenze principali tra i dipendenti che utilizzano questa specifica automazione:

  • gli operatori hanno perso la consapevolezza dell’attività che l’automazione svolge
  • gli operatori hanno perso l’incentivo a mantenere e aggiornare le conoscenze pertinenti perché il fornitore e il software lo fanno per loro
  • poiché il software era considerato affidabile, gli operatori non si sono più preoccupati di controllare risultati e rapporti in uscita e di valutare l’effettiva precisione della macchina.

Come si fa a prevenire la compiacenza (ovvero la perdita di competenza a causa del troppo affidamento alla automazione) durante l’utilizzo di strumenti dotati di intelligenza artificiale e di altri sistemi automatizzati? Ecco tre suggerimenti validi secondo Tapani Rinta-Kahila:

  • prestare attenzione a ciò che il sistema sta facendo – quali input vengono utilizzati, per quale scopo, con quali criteri effettua le scelte e cosa potrebbe influenzare i suoi output.
  • mantenere la propria competenza aggiornata, soprattutto se si è legalmente responsabile per i risultati.
  • valutare criticamente i risultati, anche se i risultati finali appaiono soddisfacenti.
  • mettere a confronto soluzioni diverse ottenute con diversi algoritmi di IA
Uno studio di Tapani Rinta-Kahila sul caso di una società di contabilità e del suo software solleva anche una domanda più grande: quali competenze sono rilevanti e vale la pena mantenere, e quali potremmo abbandonare all’automazione?

Secondo Tapani Rinta-Kahila non esiste una risposta universale, poiché le competenze professionali cambiano nel tempo, nelle giurisdizioni, nelle industrie, nelle culture e nelle località geografiche. Tuttavia, si tratta di una questione che dovremmo affrontare ora che l’IA sostituisce lavori che una volta erano considerati impossibili da automatizzare come il settore dell’ arte figurativa o della composizione musicale.

Nonostante le difficoltà, il responsabile della contabilità nel caso di studio in questione, ritiene che il software automatizzato è altamente utile. Secondo lui, la sua squadra è stata presa alla sprovvista dalla compiacenza verso l’automazione.

In un mondo focalizzato sull’efficienza, con obiettivi annuali o trimestrali, le organizzazioni preferiscono soluzioni che migliorino le cose a breve termine, anche se hanno effetti collaterali negativi a lungo termine. Questo è ciò che è accaduto nel caso della società protagonista dello studio del team di Tapani Rinta-Kahila: i guadagni di efficienza hanno messo in ombra le preoccupazioni sulla perdita di competenze, fino a quando non ne sono derivati problemi.

Il lavoro è il luogo dove i lavoratori passano la maggior parte del loro tempo, che sia questo un luogo fisico o virtuale, e le società dovrebbero avere a cuore oltre che l’efficienza anche il rafforzamento delle competenze e quindi la sicurezza dei propri dipendenti anche quando questi rischi non sembrano disastrosi. L’azienda ha una responsabilità verso la propria forza lavoro allo stesso modo in cui la ha verso i suoi investitori e dovrebbe fare attenzioni ai rischi a cui espone i suoi dipendenti, anche quando non troppo visibili oppure con un termine medio-lungo.

Ringraziamo Diario Prevenzione per aver segnalato la ricerca


NOTE

[1] Non dimentichiamo comunque che l’utilizzo di questa specifica tecnologia ha permesso di superare condizioni di rischio particolarmente gravi: in passato infatti i piloti dovevano mantenere alta la loro attenzione per l’intera durata del volo al fine di viaggiare in sicurezza. Il pilota automatico è lo strumento che ha permesso ai piloti di percorrere lunghi viaggi senza rischiare gli effetti della stanchezza o di un calo di concentrazione. Con il supporto di questo elemento tecnologico, ora siamo in grado di effettuare voli in tutto il mondo con tratte della durata di anche 12 ore.

[2] https://theconversation.com/profiles/tapani-rinta-kahila-1171858

[3] https://www.science.org/doi/10.1126/science.333.6040.277

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