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Lo stress sul lavoro costituisce l’unico rischio psicosociale da valutare?

Fonte: salute7.info


Un intervento analizza l’articolo 28 del D.Lgs. 81/2008 in relazione ai rischi psicosociali e allo stress lavoro-correlato. Il datore di lavoro può considerare lo stress lavoro-correlato come unico fattore di rischio psicosociale da valutare?

Quando si intende presentare i temi normativi e giuridici correlati ai rischi psicosociali e, in particolare, allo stress lavoro correlato, non si può che partire da quanto contenuto nell’articolo 2087 del Codice civile che, relativamente alla tutela delle condizioni di lavoro, indica che l’imprenditore

è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

E una sentenza della Cassazione – Cass. Sez. Un. 29 maggio 1993 n. 6031– sottolinea che il datore di lavoro è

tenuto a tutelare la dignità del lavoratore che è la condizione di onorabilità e nobiltà morale che nasce dalle qualità intrinseche di chi ha dignità e si fonda propriamente sul suo comportamento, sul suo contegno nei rapporti sociali, sui propri meriti e consiste in un rispetto di sé, che suscita ed esige negli altri, in forza di tale esemplarità etica.

A ricordarlo è Anna Guardavilla – giurista in Milano e collaboratrice del nostro giornale – in un intervento al convegno Stress, molestie lavorative e organizzazione del lavoro: aspetti preventivi, clinici e normativo-giuridici. Le soluzioni possibili organizzato da AIBEL, ATS Milano e SNOP (Milano, 7 giugno 2016).

Nell’intervento L’art. 28 D.Lgs. 81/08 e la categoria dei fattori psicosociali di rischio, dopo aver ricordato quanto contenuto nelle misure generali di tutela del D.Lgs. 81/2008 (TU) – con particolare riferimento all’influenza dell’organizzazione del lavoro e ai limiti del potere di organizzazione e di direzione che competono al datore di lavoro (Cass. Civ., Sez. Lav., 5 agosto 2010 n. 18278) – Anna Guardavilla riporta il contenuto del comma 1 dell’articolo 28.

L’articolo indica che la valutazione (…) deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004.

A questo comma è stato poi aggiunto, dal D.Lgs. 106/2009, il comma 1 bis: la valutazione dello stress lavoro-correlato di cui al comma 1 è effettuata nel rispetto delle indicazioni di cui all’art. 6, c. 8, lettera m quater), cioè con riferimento alle indicazioni fornite dalla Commissione Consultiva.

La relazione di accompagnamento al D.Lgs. 106/2009 ricorda che tale modifica è avvenuta al fine di consentire la predisposizione, nell’ambito di un organismo tripartito, di indicazioni operative alle quali le aziende possano fare riferimento per valutare con completezza il rischio da stress lavoro-correlato, rientrante tra i c.d. ‘nuovi rischi’ e, quindi, meritevole di attenta ponderazione .

L’intervento riprende poi la Relazione dell’Ufficio del Massimario e del ruolo della Cassazione (n. 142 del 10.12.2008) che, a sua volta, cita un passo di Le malattie da lavoro, Prevenzione e tutela di Carlo Smuraglia:

se la maggiore attenzione è stata dedicata finora ai fattori connessi a ripetitività, monotonia, carichi di lavoro, ritmi e così via, appare oggi indispensabile considerare alcuni ulteriori aspetti (relativamente) nuovi, nel senso che sono frutto di più recente acquisizione. Faccio riferimento a tutti i fenomeni che attengono agli aspetti relazionali (relazioni fra i lavoratori e fra loro e i superiori), al rapporto persona-ambiente di lavoro-tecniche di lavorazione, a tutte le questioni attinenti al disagio, alla disaffezione, alla insoddisfazione, al malessere e a quel grande complesso di fenomeni riconducibili, in modo semplificativo, allo stress.  Ovviamente, non è che tutti questi fenomeni conducano necessariamente a vere e proprie patologie, perché anzi esse dovranno essere dimostrate e provate di volta in volta, come indicato dalla Corte Costituzionale; ma è pacifico che si tratta di altrettanti fattori di rischio, finora considerati poco o comunque in modo insufficiente. In tale ambito, anche le cosiddette incongruenze del processo organizzativo costituiscono certamente aspetti di novità nel contesto dell’organizzazione del lavoro come fattori di rischio.

Si sottolinea poi che con l’inserimento del termine stress lavoro-correlato , in luogo della locuzione rischi psicologici si è inteso – come ricordato anche nel libro Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Le norme, l’interpretazione e la prassi di Lorenzo Fantini e Angelo Giuliani –  assegnare al primo una valenza assorbente dei rischi psicologici o psicosociali .

Anna Guardavilla nell’analizzare la valenza e il campo di applicazione dell’articolo 28 riprende tuttavia anche altre affermazioni tratte dal libro Il Testo Unico Sicurezza sul Lavoro commentato con la giurisprudenza, Quinta Ediz., di Raffaele Guariniello.

L’ex magistrato indica che nell’art. 28, comma 1, D.Lgs. 81/2008, l’indicazione dei rischi collegati allo stress lavoro-correlato

non è esaustiva. Se ne trae palese conferma dalle espressioni usate nell’art.28, comma 1, D.Lgs. 81/2008: ivi compresi , tra cui , anche. Pertanto, non sarebbe corretto desumere dall’art. 28, comma 1, D.Lgs. 81/2008 che lo stress lavoro-correlato costituisca l’unico rischio di natura psicosociale da valutare nel relativo documento.

Infatti altri rischi di tal natura

debbono essere presi in considerazione dal datore di lavoro: dal mobbing al burn-out e allo stalking, dalla violenza alle molestie.

Né appare sostenibile

– continua Raffaele Guariniello – che

con l’inserimento del termine ‘stress lavoro-correlato’ in luogo della locuzione ‘rischi psicologici’ si sarebbe inteso assegnare al primo una valenza assorbente dei rischi psicologici o psicosociali. Una tesi di tal fatta risulta smentita dal nitido tenore letterale dell’art. 28, comma 1, D.Lgs. 81/2008. E per giunta contrasta con un inequivoco dato normativo.

L’ex magistrato indica che

lo stress lavoro-correlato non esaurisce la gamma dei rischi psicosociali da prendere in considerazione.

E tale analisi – raccontata più nel dettaglio nelle slide dell’intervento – autorizza a concludere

che la regolamentazione speciale dettata dall’art.28, comma 1-bis, D.Lgs. 81/2008 trova applicazione con esclusivo riguardo al rischio stress lavoro-correlato e che, per contro, la valutazione dei rischi psicosociali diversi dallo stress lavoro-correlato rimane sottoposta alla disciplina generale contenuta nell’art. 28, comma 1, D.Lgs. 81/2008. Pertanto, l’obbligo di valutare i rischi psico-sociali diversi dallo stress lavoro-correlato è insorto alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 81/2008 (ma a ben vedere già sotto il regime del D.Lgs. 626/1994, perlomeno a far tempo dalla modifica dell’art.4, comma 1, di tale decreto ad opera dell’art.21, comma 2, L. 1° marzo 2002 n. 39).

Per continuare questo excursus sulla valenza dell’articolo 28 del D.Lgs. 81/2008 la relatrice riporta anche alcune affermazion di Mario Gallo in Indicazioni della Commissione: i dubbi e le criticità applicative sullo stress lavoro-correlato (in Ambiente & Sicurezza n. 5/2011).

Tale autore ricorda che il legislatore

ha affermato in modo inequivocabile che la valutazione deve riguardare tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, con la specificazione che la stessa deve comprendere, appunto, quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato. Tuttavia, una parte della dottrina sostiene che, per effetto di questa specificazione operata dal legislatore, il datore di lavoro sia tenuto a valutare unicamente i rischi da stress lavoro-correlato; pertanto, ha concluso per l’esclusione del mobbing e della violenza sul lavoro.

Tuttavia secondo Gallo da un’interpretazione logico-sistematica

è possibile rilevare che il datore di lavoro è tenuto a valutare tutti i rischi, quindi, anche tutti quelli che la comunità scientifica da tempo ormai fa rientrare nella più vasta categoria dei cosiddetti rischi psicosociali.

E dunque non sarebbe corretto

desumere dall’art. 28, comma 1, D.Lgs. 81/2008 che lo stress lavoro-correlato costituisca l’unico rischio di natura psico-sociale da valutare nel relativo documento.

La relatrice conclude, infine, la sua relazione con una citazione tratta da un Working Paper di Olympus – Dalle species al genus (o viceversa). Note sull’obbligo di valutazione dello stress lavoro-correlato e dei rischi psicosociali di Luciano Angelini – che indica che

non sarebbe certamente accettabile il comportamento del datore di lavoro che considerasse lo stress lavoro-correlato (se inteso come semplice species di rischio psico-sociale) come l’unico fattore di rischio psico-sociale da valutare: al contrario, il datore deve prendere in considerazione anche tutti gli altri rischi della stessa natura, dall’osteggiatissimo mobbing, passando per le violenze, fino ad arrivare alle molestie; e ciò, non soltanto quando tali rischi siano effettivamente presenti nel contesto aziendale da considerare, ma anche quando potrebbero potenzialmente presentarsi in ragione del modo in cui è stata strutturata l’organizzazione del lavoro […].

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