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Come cambiano livello e condizioni di rischio nel nostro paese?

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La pubblicazione on line degli open data INAIL relativi al 2022 e il Rapporto dell’Osservatorio sicurezza sul lavoro Vega Engineering ci offrono l’occasione per verificare se e come cambiano nel nostro Paese il livello e le condizioni di rischio.

Stiamo parlando ancora di oltre 20 decessi alla settimana e di almeno 3 infortuni mortali al giorno… [1]

1. Questo il primo aspetto da considerare: per quanto riguarda il dato relativo alla mortalità, che meglio  descrive il rischio connesso al lavoro nel nostro Paese, la situazione è quindi di una stabilità sorprendente: parliamo da decenni ormai dei tre infortuni mortali quotidiani, dato che non si riesce a scalfire e che si ripete pur modificandosi fortemente attorno il contesto lavorativo del Paese. E mentre il numero assoluto, 1.090 vittime, rileva una diminuzione della mortalità (131 vittime in meno rispetto al dicembre 2021) gli esperti dell’Osservatorio evidenziano come tale dato sia falsato dalle morti per covid che avevano incrementato il numero dei decessi sul lavoro nel 2021 e che rispetto all’anno precedente sono diminuite del 96,6% (da 294 a 10). Mentre, sempre secondo i dati INAIL del dicembre 2022, gli infortuni mortali non covid sono cresciuti del 17%: da 927 a 1080 rispetto allo scorso anno. Gli infortuni in occasione di lavoro sono 790 e 300 quelli in itinere. Gli esperti dell’Osservatorio evidenziano inoltre giustamente come da questi dati siano esclusi i lavoratori dell’economia sommersa e i non assicurati INAIL.

2. È di interesse un secondo aspetto che nella sua evidenza presenta un carattere di novità.

Gli stranieri deceduti in occasione di lavoro sono 150, cioè il 19% del totale. L’analisi sull’incidenza infortunistica svela chiaramente come gli stranieri abbiano un rischio di morte sul lavoro più che doppio rispetto agli italiani. Gli stranieri infatti registrano 66,5 morti ogni milione di occupati contro il 31,5% degli italiani che perdono la vita durante il lavoro ogni milione di occupati. [2]

3. Terzo punto di interesse la mappatura che l’Osservatorio fa del rischio regione per regione e provincia per provincia. Utilizzando l’indice di incidenza della mortalità, ovvero il rapporto tra infortuni mortali e la popolazione lavorativa regionale e provinciale (la media in Italia è alla fine del 2022 di 35 decessi ogni milione di occupati), i territori vengono descritti nella loro realtà superando i limiti del dato assoluto secondo cui la Regione Lombardia, ad esempio, che ha il più alto numero di infortuni mortali potrebbe apparire la più a rischio mentre, essendo quella con un maggioro numero di occupati, si pone al disotto della media nazionale considerando l’indice di incidenza.

Secondo tale mappatura:

  • nella zona rossa – ovvero le Regioni maggiormente a rischio – sono la Valle d’Aosta, il Trentino Alto Adige, la Basilicata le Marche, l’Umbria e la Campania;
  • nella zona arancione Puglia, Calabria, Sicilia, Piemonte, Toscana, Veneto;
  • in zona gialla Liguria, Abruzzo, Lazio, Molise, Emilia Romagna, Lombardia e Sardegna;
  • in zona bianca il Friuli Venezia Giulia.

4. Un quarto elemento di interesse è l’età dei lavoratori deceduti per infortunio sul lavoro. La fascia di età più coinvolta negli infortuni mortali è quella compresa tra i 55 e i 64 anni (300 su 790). Ma l’indice di incidenza di mortalità più alto è rilevato tra i lavoratori più anziani, gli ultrasessantacinquenni, che registrano 93,6 infortuni mortali ogni milione di occupati. L’incidenza minima si ha nella fascia tra 25 e 34 anni (17,1) mentre sale di nuovo nella fascia dei più giovani ossia tra i 15 e i 24 anni con 25,7 mortali ogni milione di occupati.

La maggiore frequenza di infortuni mortali si ha tra i lavoratori più vecchi.

Questo dato è d’altronde particolarmente critico e socialmente inaccettabile se si considera che il settore più a rischio resta quello delle costruzioni, seguito da trasporti/ magazzinaggio e attività manifatturiere: tutti settori in cui rischio e fatica fisica sono strettamente legati e dove gli ultrasessantacinquenni non dovrebbero dover continuare a operare dopo decenni di impegno fisico profuso nel lavoro.

Le condizioni di rischio, quindi, permangono costanti da decenni nei numeri e con riferimento ai settori, mentre si modificano significativamente gli aspetti sociali del rischio come risulta dagli elevati dati di mortalità tra i lavoratori stranieri e tra i lavoratori anziani.


NOTE

[1] Osservatorio sicurezza sul lavoro Vega Engineering.
[2] Osservatorio sicurezza sul lavoro Vega Engineering.

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