Convenzione ILO 190 contro violenze e molestie, inserimento lavoratori con disabilità e accomodamento ragionevole nella formazione in SSL per dirigenti e datori di lavoro

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articolo di Laura Barnaba
Psicologa, ASPP e formatrice per la salute e sicurezza. Membro supplente della Commissione Consultiva ex art. 6 D.Lgs. 81/2008 per il Ministero Infrastrutture e Trasporti.


Tra le novità introdotte dall’Accordo Stato Regioni n. 59 del 17 aprile 2025, adottato ai sensi del novellato art. 37, c. 2, del D.Lgs. 81/2008 e riguardante la formazione in materia di salute e sicurezza del lavoro, troviamo la prevenzione di violenze e molestie, con esplicito riferimento alla Convenzione OIL 190, e l’inserimento dei lavoratori con disabilità, con esplicito riferimento all’accomodamento ragionevole, nei programmi formativi per dirigenti e datori di lavoro.

Vediamo di cosa si tratta e la portata, anche culturale, di queste novità.

La Convenzione OIL 190 (o ILO 190, secondo l’acronimo in inglese) sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro è stata recepita dall’Italia con la Legge n. 4/2021 ed è in vigore dal 29 ottobre 2022.

Violenza e molestie sono definite dalla Convenzione come

un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un’unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico, e include la violenza e le molestie di genere.

Queste ultime sono intese come la violenza e le molestie nei confronti di persone in ragione del loro sesso o genere, o che colpiscono in modo sproporzionato persone di un sesso o genere specifico, e comprendono le molestie sessuali.

Per comprendere l’ambito di tutela, aspetto fondamentale della Convenzione è l’utilizzo della locuzione «nel mondo del lavoro», che va intesa in senso ampio come «in occasione di lavoro», «in connessione con il lavoro» o «che scaturisca dal lavoro». La protezione interessa dunque ogni violenza comunque collegata al lavoro, compresa la violenza tramite comunicazioni digitali, per fare un esempio al passo con i tempi.

L’art. 9 della Convenzione impegna gli Stati ad adottare leggi e regolamenti che tra l’altro richiedano ai datori di lavoro di includere violenza e molestie, come pure i rischi psicosociali ad esse correlati, nella gestione della salute e della sicurezza sul lavoro. Sono quindi richieste attività di identificazione dei pericoli e valutazione dei rischi, con le relative misure di prevenzione e protezione discendenti, nonché attività di informazione e formazione, oltre all’adozione di una esplicita politica aziendale in materia di violenza e di molestie nei luoghi di lavoro quale primo passo importante. Sempre con il contributo di lavoratrici e lavoratori e/o dei loro rappresentanti e nella misura in cui sia ragionevolmente fattibile.

Nel  2023, il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi ha annunciato di aver formulato un interpello alla Commissione ex art.12 del D.Lgs. 81/2008 auspicando, alla luce della Convenzione 190, una pronuncia positiva sull’obbligo di effettuare in tutti i settori la valutazione del rischio di violenze e molestie. Nel momento in cui scriviamo non è ancora pervenuta la risposta. Anche per questo motivo, l’inclusione della prevenzione di violenza e molestie con riferimento alla Convenzione 190 nella formazione obbligatoria appare un segnale significativo: per la prima volta questo accordo internazionale è in un atto vincolante in materia di salute e sicurezza del lavoro. Peraltro, la Convenzione 190 ha un impatto più ampio rispetto all’ambito che nell’ordinamento è ricompreso nella tutela della salute e sicurezza sul lavoro ed è essenziale che datori e dirigenti la conoscano a fondo!

L’altro contenuto dell’Accordo che rappresenta una novità è quello relativo ai lavoratori con disabilità (usiamo questa dicitura, in ossequio, da ultimo, all’art. 4 del D.Lgs. 62/2024 che chiede di sostituire l’espressione “disabili” ovunque ricorra!).

L’Accordo cita espressamente l’art. 3, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 216/2003 (per mero refuso compare 213/2006), inserito dal Decreto Legge n. 76/2013. Tale disposizione obbliga i datori di lavoro, pubblici e privati, nel rispetto del principio della parità di trattamento, ad adottare gli accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (CRPD), ratificata ai sensi della Legge n. 18/2009, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori.

La CRPD definisce l’accomodamento ragionevole come le “modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un carico sproporzionato o eccessivo, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per assicurare alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e libertà fondamentali”.

In concreto, le misure possono riguardare l’ambiente fisico o gli strumenti di lavoro, ma possono essere anche modifiche del processo operativo, dell’orario di lavoro o dell’organizzazione lavorativa. Quella di accomodamenti ragionevoli (indicati come “soluzioni ragionevoli” dalla Direttiva 2000/78/CE) è infatti una nozione a contenuto variabile.

A riguardo, visto che l’Accordo definisce i contenuti minimi, mentre la formazione effettiva deve comprendere i contenuti necessari nella situazione specifica, ricordiamo anche il Decreto Legge n. 43/2022 del Ministero del Lavoro recante “Linee Guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità” e le ultime disposizioni sull’accomodamento ragionevole introdotte dal D.Lgs. 62/2024 che ha inserito l’art. 5bis alla Legge n. 104/1992. Secondo queste disposizioni, tra l’altro, la stessa persona con disabilità, pure tramite un rappresentante, ha la facoltà di richiedere, sia a una pubblica amministrazione sia a un  concessionario di pubblici servizi sia a un soggetto privato, l’adozione di un accomodamento ragionevole anche formulando in prima persona una proposta specifica. Rispetto alla normativa precedente, l’accomodamento ragionevole viene procedimentalizzato ed è riconosciuto un ruolo pienamente attivo alla persona interessata.

In caso di rifiuto (che dal datore pubblico va motivato), è possibile attivare misure di tutela giurisdizionale e/o rivolgersi all’Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità.

Ricordiamo, infine, che per l’inserimento lavorativo e gli accomodamenti ragionevoli, le pubbliche amministrazioni centrali, nazionali e locali quali Ministeri, Enti di ricerca, Regioni, Comuni, Università, enti pubblici ed altre (tutte quelle indicate all’art.1, comma 2 del D.Lgs. 165/2001 smi) si avvalgono del responsabile dei processi di inserimento delle persone con disabilità, previsto dall’art.39-ter del D.Lgs 165/2001.

In conclusione, conoscenze e competenze su prevenzione e gestione di violenza e molestie, anche di genere, inserimento lavorativo delle persone con disabilità, anche con il ricorso all’accomodamento ragionevole, sono riconosciute oggi come strumenti indispensabili nella cassetta degli attrezzi dei moderni datori di lavoro e dirigenti. L’ignoranza non è più ammessa. Un passo avanti nella tutela di salute e sicurezza, un passo avanti nel garantire i diritti umani fondamentali, un passo avanti verso le organizzazioni e la società che vogliamo. Un plauso al nuovo Accordo Stato Regioni.

Nota: il presente articolo è espressione del pensiero personale e non è impegnativo per l’Amministrazione o le organizzazioni di appartenenza.

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