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Una piccola, ma esemplare storia italiana

Si parla spesso di “cultura della sicurezza”, e della sua apparente impenetrabilità in Italia: tra i semplici cittadini, ma anche tra gli imprenditori e i lavoratori.

Spesso si invoca la scuola come luogo dove sarebbe possibile insegnare questa cultura. A questo qualcuno obietta che anche le famiglie dovrebbero essere coinvolte in questo processo educativo, considerato che gli incidenti domestici fanno molti più morti e feriti di quelli sul lavoro. Altri sottolineano il paradosso che le scuole dovrebbero insegnare ciò che per prime non mostrano di conoscere. Le scuole italiane, dal punto di vista della sicurezza, si presentano con enormi e note carenze.

Per comprendere meglio questa “cultura della sicurezza” e rendersi conto che non si tratta solo di un tema buono per i salotti intellettuali, ma di un aspetto che ha ricadute quotidiane su qualsiasi luogo in cui viviamo e che frequientiamo, oggi raccontiamo una storia accaduta a un bambino di Lodi.

Il bambino, che chiameremo Luca, abita a Borghetto Lodigiano, non ha ancora compiuto 6 anni e pochi mesi fa rimase incastrato con il piedino in un gradino della scala mobile dell’ospedale Domenico Tosca di Lodi, dove si era recato con i genitori. Il piccolo venne faticosamente liberato, quindi operato d’urgenza, ma salvò solo l’alluce del piede.

Perché si trovò incastrato nella scala mobile? Distrazione o azzardo del bimbo? Scarsa attenzione dei genitori? Nulla di tutto ciò.

Le indagini hanno accertato che la scala mobile era stata venduta dalla nota ditta Kone Spa nonostante

la stessa non fosse rispondente alle disposizioni e ai regolamenti vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Come se non bastasse, gli istallatori che ne curavano anche la manutenzione sono stati accusati di

non essersi attenuti, nella fase di montaggio, installazione e verifica dell’impianto alle norme di salute e sicurezza sul lavoro. Tutti hanno omesso di verificare, in fase di costruzione, montaggio, installazione e verifica, nell’ambito delle manutenzioni periodiche effettuate sulla scala mobile, la conformità dell’impianto.

Conformità, in particolare, rispetto

all’accoppiamento tra le parti laterali, del bordo di unione tra superficie di calpestio e alzata del gradino adiacente che presentava la formazione di uno spazio di libero accesso maggiore rispetto a quanto consentito dalla norma, che prevede un gioco tra due gradini non maggiore ai 6 millimetri e alla presenza di spigoli vivi, determinando un pericolo meccanico di imprigionamento tra gradino e gradino.

Insomma: chi ha costruito e venduto, come chi ha istallato e manutenuto la scala mobile, non lo ha fatto secondo le prescritte regole di sicurezza, per di più all’interno di un Ospedale cittadino. Proprio il non rispetto della regola ha fatto sì che Luca infilasse la scarpina sinistra

nel punto dove l’accoppiamento tra le parti terminali del piano di calpestio e le scanalature del gradino successivo non era corretto. Una circostanza questa che, unita alla presenza di uno spigolo vivo, determinava l’impigliamento e la trattenuta del laccetto in velcro della scarpa con successivo trascinamento e imprigionamento del piede del bimbo, nell’intercapedine esistente tra i gradini.

Quando parliamo di scarsa “cultura della sicurezza” parliamo di quella irresponsabile leggerezza, disattenzione, superficialità, con cui anche grandi ditte di produzione o di manutenzione affrontano il loro lavoro. Lavoro che può avere conseguenze importanti sulle persone che ne usufruiscono, inconsapevoli dei rischi.

La cronaca non ci dice, né l’inchiesta l’ha indagato, quali siano i livelli di sicurezza dentro alle aziende coinvolte. Si può solo immaginare che se la “cultura aziendale” è quella che ha portato a questo incidente, essa non avrà conseguenze solo sugli utilizzatori esterni, ma anche sui suoi stessi lavoratori.

Questa storia ci indica un altro aspetto spesso ignorato: quanto costa agli italiani la mancata sicurezza in termini umani ed economici ?

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