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Oltre il duello formalismo vs semplificazione

Nell’ultimo Angolo Acuto abbiamo esaminato la proposta del senatore Sacconi trascurando un aspetto che non è dentro il contenuto delle proposte, ma fuori di esse, ovvero nella filosofia che le sottende.

Quando si parla di prevenzione e di normative si fronteggiano da sempre due punti di vista, da cui generano varie sfumature.
Un primo punto di vista potremmo definirlo “realista”. Le norme ci sono, e anche se le giudico farraginose, burocratiche, tediose, e forse in parte anche inutili, le applico.
Un secondo punto di vista che si potrebbe definire “lungimirante” guarda alle norme come a un elemento di un quadro più ampio, parte di una strategia dalla quale non si può prescindere per delineare il futuro della società e dell’imprese.

Nessuno dei due punti di vista è giusto in modo assoluto, ed entrambi presentano dei limiti. Questo per eliminare alla radice l’idea che tra i due modi con cui si guarda alle politiche di prevenzione vi sia una differenza manichea: l’uno è giusto e l’altra sbagliato, che tradotto nella nostra cultura corrente significa colpevole o da colpevolizzare.

Piuttosto, rappresentano due approcci diversi spesso determinati da aspetti di cultura imprenditoriale e/o ancora più spesso dalle condizioni in cui versa l’azienda o il settore nel quale opera.

Il “realista” guarda alle difficoltà dell’oggi, immediate. E trova, non sempre a torto, che molte delle azioni richieste dalle norme ostacolano e rallentano il lavoro quotidiano senza offrire miglioramenti significativi alle condizioni di lavoro. Ciò che va fatto si fa con attenzione e accuratezza, ma sempre con il pensiero che sono estranee al “core business”. Insomma si fanno in quanto imposte, probabilmente se qualcuno le facesse scomparire, l’imprenditore realista ne farebbe a meno molto volentieri per concentrarsi sulle tante altre difficoltà quotidiane. Queste idee a volte sono proprie anche dei lavoratori. Regole, dispositivi di protezione, tante attenzioni da prestare sono avvertite come un “peso” di cui se ne farebbe volentieri a meno. Non appaiono come dirimenti soprattutto se in gioco non è la vita, ma le conseguenze sulla salute che potrebbero presentarsi tra dieci, venti o trent’anni. Molti lavoratori che la pensano così sono giovani il cui obiettivo principale oggi è lavorare con continuità, il resto si vedrà. Spesso risentono della mancanza di una cultura della prevenzione che in Italia non s’incontra a scuola, né in famiglia e né, appunto, sul lavoro.

Una variante più radicale del “realismo” è quella che considera le norme direttamente degli ostacoli da rimuovere o aggirare. L’obbiettivo è quello di ridurne l’impatto e i costi sull’attività lavorativa. Da questo nasce l’importanza del “tecnico” (l’RSPP, il consulente, ecc.) che aiuti l’impresa a realizzare quell’ obbiettivo. In realtà in questa variante il costo si sposta dalla prevenzione al tecnico, e quindi alle azioni che egli suggerisce e che spesso neanche portano un risparmio nei costi.

Questo punto di vista è quello che la proposta del Sen. Sacconi tende a sposare, agevolato dal fatto che a volte la burocrazia offre abbondante materia su cui fondare le ragioni per scegliere una via d’uscita dalla normativa piuttosto che la loro applicazione.

Il secondo punto di vista deriva da una visione più ampia e generale. Partendo da elementi che trovano fondamento non sull’oggi, ma su linee di tendenza che si proiettano nel futuro. In particolare due. Il modello europeo e la competizione globale.

Del primo un accenno va al tema del peso del welfare sulle società europee. È evidente che una serie di fattori, quali l’invecchiamento della popolazione, la minor natalità, la scarsa crescita, stanno minando il modello tradizionale di tutela “dalla culla alla tomba”. Una delle soluzioni individuate è quella della promozione di stili di vita e di strategie sanitarie che permettano da una parte una migliore qualità della vita con il contributo attivo di tutti e dall’altra una forte riduzione dell’impatto dei costi della sanità senza diminuirne l’efficacia. Come abbiamo già scritto, le politiche di promozione della salute sono ormai acquisite a livello mondiale dal varo della Carta di Ottawa nel 1986 (vedi AA del 12 Luglio 2016) e le attività conseguenti non possono non interessare i luoghi di lavoro. Impensabile migliorare la salute dei cittadini ignorando l’attività che occupa gran parte del loro tempo di vita, e cioè il lavoro. Le politiche di prevenzione aziendali, in quest’ambito, non sono altro che una articolazione delle politiche di promozione della salute in atto nelle società europee, e più in generale in quelle occidentali.

Ma anche il lavoro sta cambiando. Diminuisce la manualità a favore di una sempre più forte automazione, si sposta l’accento dalla diligenza dell’esecuzione alla collaborazione al raggiungimento degli obiettivi aziendali, aumenta il livello qualitativo della produzione e quindi la professionalità degli addetti, cresce l’importanza del servizio che affianca il prodotto (la pubblicità, l’assistenza, la consulenza, ecc.) e in parallelo l’importanza motivazionale di chi svolge queste attività. Anche per quanto rapidamente tratteggiato, cresce lo spazio che le politiche di prevenzione hanno per raggiungere un sempre più ampio benessere lavorativo. Non tanto quindi la sola prevenzione degli infortuni, ma il costante miglioramento della globalità della vita lavorativa in ogni momento e per ogni aspetto.

Se i realisti sono stretti tra contingenza e limiti culturali, gli strategici sono senza dubbio più avanti nel posizionarsi sulla scena della competizione globale. Probabilmente armonizzare i due punti di vista è un ruolo che spetta alle strutture collettive. Spetta a quelle pubbliche di Governo come alle associazioni datoriali e sindacali (tra cui un ruolo rilevante hanno gli Organismi Paritetici, dove le parti sociali trovano il luogo di convergenza strategica), fino a quelle formative e culturali.

Dentro a questo quadro una cosa è certa: quanto più presto si porrà mano alle politiche di armonizzazione, tanto prima si vedranno i miglioramenti anche in termini di crescita economica e sociale.

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