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Il D.Lgs. 81/08 va rivisitato?

Questa settimana, su ReS, troverete un articolo redatto da tre esponenti dell’ambiente universitario romano: il Dott. Claudio Prestigiacomo e il Prof. Agostino Messineo, rispettivamente Presidente e Docente del Corso di laurea per Tecnici  della Prevenzione dell’Università della Sapienza S. Andrea, e il Prof. Tonino Luigi Marsella, Direttore della Scuola di specializzazione in Medicina Legale presso l’Università di Tor Vergata. Il titolo dell’articolo è: Prevenzione: efficacia e semplificazione.

Lo scritto mette in luce i limiti e suggerisce possibili punti di revisione sulla normativa in merito alla salute e sicurezza dei lavoratori, soprattutto nella direzione di una più stringente armonizzazione con ciò che accade negli altri Paesi europei.

Da tempo, sulla base delle esperienze nazionali maturate riguardo applicazione della legge e in base alle verifiche di alcune esperienze europee, le parti sociali (datori di lavoro e sindacati), le istituzioni pubbliche (Università, Inail, Servizi di Prevenzione delle Asl) e le associazioni professionali (Rspp, medici, consulenti del lavoro, formatori e altro) avanzano richieste di cambiamenti più o meno sostanziali di parti della legge, peraltro non tutte convergenti.

Alcuni richiedono l’inasprimento delle sanzioni e altri la loro depenalizzazione, alcuni richiedono una drastica semplificazione e altri una più dettagliata elencazione delle cose da fare. Ci sono però alcune modifiche che accomunano, se non tutti, almeno la maggioranza degli operatori.

La più rilevante non riguarda tanto strettamente il testo di legge, quanto la cultura vigente in Italia, cambiando la quale sarebbe possibile forse modificare anche l’approccio legislativo. Parliamo dell’impostazione meramente formale e burocratica riscontrata nelle attività previste dal Testo Unico, in primis la stesura del Documento di Valutazione dei Rischi, le misure da programmare e la formazione. Molti affermano che l’impostazione culturale e il contenuto della norma si condizionano a vicenda.
Se, dicono i sostenitori di questa tesi, si procedesse alla semplificazione e alla depenalizzazione, per fare un esempio, il datore di lavoro sentirebbe meno la responsabilità di scrivere con attenzione formalistica più che sostanziale il documento dei rischi. Altri, pur convenendo sul formalismo, pensano che una drastica semplificazione e ancor di più una minor forza sanzionatoria porterebbe i datori di lavoro a trascurare le politiche preventive aziendali.

Purtroppo esistono esempi concreti che avvalorano entrambe le tesi. Esistono imprenditori per i quali la qualità del lavoro (e quindi l’ambiente lavorativo, il benessere organizzativo, la partecipazione attiva) è un elemento imprescindibile per un’azienda che voglia guardare al futuro, e ci sono datori di lavoro che vivono, o sopravvivono fronteggiando difficoltà quotidiane, badando unicamente ai costi e alla loro possibile riduzione.

Sono due approcci diversi, in parte di natura culturale e in parte indotti dal mercato in cui si opera e da una serie di fattori esogeni che influenzano l’azione imprenditoriale. Se si esce da un orizzonte moralistico basato sulla dicotomia premio/punizione, è facile comprendere che entrambi fanno parte della realtà economico-produttiva del nostro Paese, e vanno considerati ai fini di azioni di miglioramento, con norme e modalità che incoraggino gli uni a proseguire e aiutino gli altri a imboccare la strada dell’innovazione.

Tutto questo per dire che rimanere chiusi dentro visioni rigidamente specialistiche o moralistiche non aiuta il cammino verso il miglioramento. Servirebbe, verrebbe da dire come sempre, un dibattito aperto alle ragioni di ognuno, meno finalizzato a imporre le proprie e volto a smantellare una impostazione conflittuale aprioristica, utile solo a scansare le difficoltà di trovare soluzioni nuove rispetto alle posizioni-trincea in cui alla fine spesso ci si trova comodi.

Da questo punto di vista l’articolo di Messineo, Prestigiacomo e Marsella presenta molti spunti interessanti.
Buona lettura!

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