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Differenze di genere e valutazione dei rischi lavorativi

genere e valutazione dei rischi

Da tempo la documentazione scientifica internazionale ha più volte indicato che i rischi e le patologie tra lavoratori e lavoratrici, sono molto differenti. L’uomo e la donna, infatti, hanno peculiari caratteristiche che possono determinare effetti biologicamente diversi anche a parità di esposizione, di queste differenze – a partire dalla valutazione dei rischi – non si può non tener conto nelle strategie e nelle misure di prevenzione aziendali.

Per favorire l’adozione nei luoghi di lavoro di meccanismi, processi e azioni per contrastare le diseguaglianze di genere nella tutela della salute e sicurezza sul lavoro, sono usciti negli anni passati quattro volumi editi dall’Inail sul tema.

valutazione dei rischi di genereCi soffermiamo sull’ultimo volume (che trovate in allegato) dal titolo: Salute e sicurezza sul lavoro, una questione anche di genere: Rischi lavorativi. Un Approccio multidisciplinare Vol.4°

In questo testo ci si sofferma sulla differente esposizione tra uomini e donne in relazione ai rischi chimici e biologici e a quelli di natura infortunistica. In particolare ci si sofferma su esempi specifici relativi alle differenze di sesso nella risposta alle infezioni.

Ad esempio le recenti acquisizioni in tema di Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (AIDS) mostrano con chiarezza come la differenza di genere possa associarsi a una peculiarità di decorso clinico. Infatti le donne “hanno patterns clinici e viro-immunologici più favorevoli nella fase precoce dell’infezione, sebbene mostrino in un secondo tempo, con più alta probabilità, una veloce progressione verso l’AIDS conclamato rispetto agli uomini, a parità di carica virale”. E altre differenze significative di genere si possono notare per le infezioni da HBV (“epatite B”) e HCV (“epatite C”).

Vi sono poi anche fattori di natura fisica nell’attività lavorativa che possono essere pericolosi per entrambi i sessi (“radiazioni ionizzanti per le cellule germinali”) e altri soprattutto per i lavoratori maschi (“agenti fisici quali le alte temperature”) o soprattutto per le lavoratrici in stato di gravidanza.

In relazione poi ai rischi da fattori inerenti l’organizzazione del lavoro, il documento segnala che un lavoro faticoso e stressante

può alterare il ciclo mestruale provocando, amenorrea, dismenorrea, cicli anovulatori e riduzione della fertilità. Il lavoro a turni, caratteristico del settore sanitario e di alcuni altri servizi (ad es. assistenti di volo), può interferire con il sistema endocrino-riproduttivo delle donne, causando alterazioni del ciclo mestruale, endometriosi, oltre che altre patologie quali disturbi dell’umore e malattie cardiovascolari (Knuttsson A., 2003).

Ed è stata evidenziata anche una “correlazione tra lavoro notturno e aumentato rischio di tumore al seno femminile (Bonde J.P., 2012)”, senza dimenticare che la stessa Agenzia Europea per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato il lavoro a turni in gruppo 2A, vale a dire probabilmente cancerogeno (IARC Monographs on Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans, Vol. 98).

Si sottolinea che il rischio attribuibile al lavoro notturno aumenta significativamente

quando effettuato per periodi duraturi di diversi anni (soprattutto periodi superiori a 20 anni), con oltre due notti consecutive durante il turno. Il lavoro a turni notturni sembra essere associato anche a un incremento del rischio per cancro prostatico, del colon e dell’endometrio anche se gli studi finora condotti per valutare queste associazioni sono relativamente pochi (Kolstad H.A., 2008).

Ci soffermiamo poi sul rischio ergonomico, ricordando come uomini e donne abbiano mediamente una diversa struttura fisica.

Quando una postazione lavorativa non è in grado di adattarsi alla estrema variabilità della forza lavoro in termini di struttura fisica,

viene a incrementarsi il rischio di patologie muscolo-scheletriche (Motamedzade M., 2011) e in questo senso le lavoratrici sono in genere maggiormente penalizzate dovendosi adattare a postazioni o strumenti di lavoro, spesso progettati per il ‘lavoratore maschio medio’ (Stevenson JM, 1996; Bylund SH, 2006).

Se le patologie muscolo scheletriche lavoro-correlate sono

condizioni multifattoriali dove la componente causale occupazionale è attribuibile a diversi fattori di volta in volta implicati da soli o in associazione

(vibrazioni trasmesse da strumenti e macchinari, microclima inadeguato, movimentazione manuale dei carichi, movimenti ripetitivi, posture incongrue, …), molti fattori concausali extraprofessionali

sono pressoché di prerogativa femminile, in alcuni casi perché legati alla fisiologia della sfera riproduttiva femminile (ad es. la multiparità e la menopausa) e in altri per il ruolo sociale che la donna occupa nelle attività di assistenza e cura familiare (Biancheri R., 2011).

E una quota significativa di stress biomeccanico alle strutture muscolo-scheletriche deriva proprio

dalle attività di pulizia domestiche o di accudimento di bambini o anziani malati e con difficoltà di movimento e di deambulazione.

Inoltre uno studio sui tassi di Sindrome del Tunnel Carpale (STC)

ha mostrato una netta prevalenza nei cosiddetti ‘colletti blu’ rispetto ai ‘colletti bianchi’ e ha evidenziato anche un alto tasso tra le casalinghe, suggerendo che i lavori domestici siano un importante fattore di rischio per STC (Mattioli S, 2009).

E altri studi hanno evidenziato una maggiore prevalenza nel genere femminile

di patologie a carico della colonna vertebrale e delle articolazioni (in particolare la sindrome del tunnel carpale ed epicondilite laterale) degli arti superiori, di patologie delle vene degli arti inferiori al pari dell’attività lavorativa svolta (Habib R.R. e Messing K. 2012, Punnett L. 2000, Bahk et al 2011, Becker J. 2002, Fan Z.J. 2009).

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