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Una sentenza indicativa

Il 3 marzo 2016 la Cassazione Penale ha emesso una emblematica sentenza di assoluzione del Datore di Lavoro e del RSPP in quanto essi avevano assunto

tutte le cautele possibili da assumersi ex ante

in relazione a un caso di infortunio grave. Andiamo per ordine partendo dai fatti.

Il dipendente infortunato è un elettricista manutentore che si è recato su incarico della propria azienda presso un capannone di un cliente, insieme a un collega, per effettuare un sopralluogo.
Il giorno successivo entrambi i lavoratori si sono recati di nuovo dalla Ditta per effettuare il lavoro, e cioè il montaggio di alcuni faretti all’esterno del capannone.
L’operaio è salito, grazie al classico cestello con braccio meccanico oleodinamico, sopra il tetto del capannone, come aveva già fatto il giorno precedente. Qui “ha deciso, forse per fare più in fretta, o comunque incautamente, di salire sul tetto per meglio posizionare i fili, percorrendo il tratto ricoperto da sottili lastre di eternit, che inevitabilmente si sono sfondate”. L’operaio è precipitato al suolo da un’altezza di circa 6/7 metri procurandosi gravi lesioni.
Il lavoratore infortunato è un tecnico preparato ed “era un soggetto particolarmente esperto di sicurezza sul lavoro, essendo stato egli stesso nominato responsabile della sicurezza dei lavoratori della sua azienda”.

La sentenza si pone una domanda decisiva:

che tipo di rimprovero può rivolgersi ad un datore di lavoro o a un responsabile aziendale per la sicurezza che ha dotato il dipendente, esperto e formato in materia di sicurezza del lavoro, di tutti i presidi antinfortunistici e della strumentazione necessaria per effettuare il lavoro in sicurezza, analogo a quello che egli era chiamato a compiere da cinque anni, rispetto a siffatto comportamento? Hanno potuto incolpevolmente il datore di lavoro e il responsabile per la sicurezza fare affidamento sul fatto che un soggetto così esperto non ponesse in essere il comportamento che ha cagionato l’incidente?

La domanda non solo è pertinente, ma è una di quelle che si pongono spesso all’attenzione di giuristi, esperti, tecnici e attori aziendali della sicurezza.

È necessario fare una premessa. Nel tempo le norme non solo sono cambiate nella sostanza, ma anche nei criteri ispirativi. La normativa si è andata trasformato da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro che, in quanto soggetto garante era investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, a un modello “collaborativo”, in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori stessi (Cass. Pen. sez. 4, n. 41486 del 5.5.2015, Viotto, non mass.).
Questo non ha escluso il permanere della responsabilità del datore di lavoro laddove la carenza dei dispositivi di sicurezza, o anche la mancata adozione degli stessi da parte del lavoratore, non può certo essere sostituita dall’affidamento sul comportamento prudente e diligente di quest’ultimo (Cass. Pen. sez. 4, n. 41486 del 5.5.2015, Viotto, non mass.).

In giurisprudenza, dal principio “dell’ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore” (che si rifà spesso all’art. 2087 del codice civile), si è passati – a seguito dell’introduzione del D. Lgs 626/94 e, poi del T.U. 81/2008 – al concetto di “area di rischio” (cfr. sez. 4, n. 36257 del 1.7.2014, rv. 260294; sez. 4, n. 43168 del 17.6.2014, rv. 260947; sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva (Cass. Pen. sez. 4, n. 41486 del 5.5.2015, Viotto, non mass.).

Insieme all’area di rischio che l’imprenditore è tenuto a dichiarare nel DVR si sono andati a cercare i limiti delle reciproche responsabilità. È nata una classificazione dei comportamenti dei lavoratori in due concezioni principali: il comportamento “esorbitante” e quello “abnorme”.
Il primo riguarda le condotte che fuoriescono dall’ambito delle mansioni, ordini, disposizioni impartiti dal datore di lavoro, mentre il secondo concerne quelle condotte poste in essere in maniera imprevedibile dal prestatore di lavoro al di fuori del contesto lavorativo, cioè, che nulla hanno a che vedere con l’attività svolta.
Di recente le sentenze e gli orientamenti giurisprudenziali, come detto, tengono in maggior conto, come previsto anche dall’art. 20, della responsabilità dei lavoratori e del cosiddetto “principio di autoresponsabilità del lavoratore”.

Il datore di lavoro non ha più, dunque, un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore, come in passato, ma una volta che ha fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, egli non risponde dell’evento derivante da una condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore.

La Corte di Cassazione tiene a ribadire, per maggiore chiarezza,

che non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre comunque all’insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (cfr. ex multis questa sez. 4, n. 7364 del 14.1.2014, Scarselli, rv. 259321).

Nel caso di cui ci stiamo occupando, la Corte ha stabilito che tutte le cautele possibili da assumersi ex ante erano state assunte dal datore di lavoro, e per quanto di competenza anche dal Responsabile del Servizio di Prevenzione e protezione.

In primo grado, il Tribunale aveva ricostruito come non fosse indispensabile salire sul tetto e anche la presenza dell’elevatore, di per sé, non indicasse la necessita di andarci sopra. Mentre l’infortunato ribadiva che la presenza di questo braccio meccanico dovesse indicare cosa si aveva intenzione di fare e quindi far scattare almeno nel RSPP un segnale di pericolo.

La Corte di primo grado stabiliva invece

come il RSPP avesse indicato che, dovendo i lavori avere ad oggetto l’installazione di faretti da apporre nella parte frontale – perimetrica esterna – del capannone, non era possibile svolgere gli stessi dal tetto ma era necessario, come verificato anche in loco, usare unicamente l’elevatore.
Anche la presa della corrente alla quale collegare questi faretti era poi presente sempre in questa parte esterna del capannone, per cui era assolutamente verosimile che tutto il lavoro potesse e dovesse essere effettuato a mezzo dell’elevatore messo a disposizione.
In ordine alla possibilità che i fili potessero essere collocati dall’elevatore e senza salire sul tetto  si era espresso anche l’ispettore della ASL, intervenuto sul posto nella immediatezza dei fatti, che aveva indicato come l’impianto interessasse la parte perimetrica del capannone e come, per la sua posa in opera, fosse necessario iniziare dalla parte bassa dell’edificio, per poi salire in quota. Aveva poi aggiunto che per svolgere quei lavori era necessario e sufficiente usare l’elevatore oleodinamico con piattaforma che, in effetti, era presente sul posto.

Era dunque da prevedersi che un operaio dotato di siffatta qualificazione ponesse in essere un comportamento del genere?
Ebbene, la risposta in termini di possibile prevedibilità dell’evento non può che essere che il comportamento posto in essere dall’operaio infortunato non era e pienamente prevedibile.

Ne deriva l’assenza di violazione della norma cautelare che, idonea forse ad influire sotto il profilo della tipicità oggettiva del reato, lo è certamente sotto il profilo soggettivo dell’assenza di colpa.

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