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Condotta abnorme del lavoratore e responsabilità penale del datore di lavoro

Decreto legge 32 2019

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell’obbligo di adozione delle misure di prevenzione può essere esclusa  solo in rare ipotesi, vale a dire in presenza di un comportamento del lavoratore del tutto imprevedibile e tale da presentare i caratteri dell’eccezionalità, dell’esorbitanza e dell’abnormità rispetto alle direttive organizzative ricevute. Non è invece esclusa se risulti che l’infortunio sia determinato dall’assenza o dall’inidoneità delle misure di sicurezza predisposte nei luoghi di lavoro. In tale caso, infatti, nessuna condotta del lavoratore può essere considerata quale causa primaria dell’evento lesivo.

Cosa s’intende per “comportamento abnorme”?

Secondo l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza, per comportamento “abnorme”,  si intende quel comportamento che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si pone al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro.

Partendo da tale definizione, la Suprema corte, rimanendo nell’alveo di un orientamento già consolidato, è intervenuta nuovamente sul punto per chiarire i confini tra la responsabilità penale del datore di lavoro, come noto titolare di una posizione di tutela dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale del prestatore di lavoro, e quella del lavoratore nel caso in  cui la sua condotta anomala  appaia come causa dell’evento dannoso da lui subito.

In particolare, segnaliamo la sentenza della Cass. Pen. Sez. IV, sent. 14.03.2014 (depositata il 29.5.2014) n. 22247, con il quale la Corte di Cassazione ha stabilito il seguente principio di diritto:”la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l’esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l’evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme e che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento; abnormità che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori delle possibilità di controllo dei garanti.”

Per comprendere la portata concreta di questo pronunciamento è necessario riferire la fattispecie concreta oggetto di disamina da parte della Corte. La Cassazione si è pronunciata sulla responsabilità penale del datore di lavoro in ordine a un delitto di omicidio colposo commesso con violazione delle norme antinfortunistiche. Il datore di lavoro era già stato condannato con sentenza del Tribunale di Milano dell’11.01.2008 poi confermata in grado di appello dalla Corte territoriale con sentenza resa il 04.05.2012.

Secondo il Giudice di primo grado, l’imputato, nella qualità di legale rappresentante della società, aveva causato con il suo comportamento negligente la morte dell’operaio dipendente, il quale era deceduto a seguito delle conseguenze riportate dalla caduta di un castello di tiro collegato ad un ponteggio. Tale castello era  reso pericoloso dalla mancanza di parapetti su due lati ed era stato montato in assenza di mezzi di protezione individuali. Notava, il Giudice, che il datore di lavoro non aveva preposto nessuno a vigilare sul rispetto delle norme di sicurezza.

La difesa dall’imputato, da quanto si ricava dalla lettura della sentenza che si allega, aveva censurato la sentenza resa dalla Corte di Appello di Milano per non aver accolto la richiesta di assoluzione fondata sulla  insussistenza del nesso di causalità tra la condotta omissiva ascritta al datore di lavoro ed il decesso del lavoratore in ragione dell’abnorme condotta dell’operaio rimasto vittima della propria imprevedibile azione svolta in palese contrasto alle istruzioni impartitegli dal datore di lavoro.

La Suprema Corte, quindi, con l’arresto giurisprudenziale richiamato,  ha ribadito la rigorosa linea di interpretazione del ruolo di garanzia ricoperto dal datore di lavoro all’interno del sistema prevenzionistico ed ha chiarito che pur non potendosi, in astratto, escludere che possa riscontrarsi abnormità, laddove l’abnormità consista nel compiere scelte e azioni radicalmente lontane dalla prassi lavorativa e quindi da ciò che ordinariamente era prevedibile da parte del datore, ha confermato che nel caso in  specie tale circostanza non ricorreva, in quanto si doveva tener conto, prioritariamente, dell’inerzia del datore di lavoro nella predisposizione e nell’attuazione del “Piano Operativo di Sicurezza”. La corretta applicazione del Pos, infatti, secondo i Giudici di legittimità, avrebbe potuto scongiurare il sinistro grazie alla predisposizione di quegli efficaci strumenti dissuasivi e impeditivi che caratterizzano i Piani Operativi di Sicurezza.

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