Cassazione Penale, Sez. 4, 27 luglio 2015, n. 32761

Con questa sentenza la Corte di Cassazione si sofferma su un importante tema della vigente disciplina prevenzionistica, ovvero l’individuazione dei compiti che il giudice deve assolvere per accertare l’esistenza delle posizioni di garanzia e delle correlative responsabilità penali nell’attuale sistema “procedimentalizzato”, basato sulla programmazione della prevenzione degli infortuni sul lavoro.


 

Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: SERRAO EUGENIA
Data Udienza: 10/07/2015

Fatto

1. La Corte di Appello di Trieste, con sentenza del 15/10/2014, ha riformato sul punto relativo al trattamento sanzionatorio, sostituendo la pena detentiva con quella pecuniaria e revocando la sospensione condizionale, la pronuncia con la quale il Tribunale di Tolmezzo, in data 17/12/2012, aveva dichiarato Z.E. colpevole del reato di lesioni colpose gravissime aggravate dalla violazione di norme concernenti la prevenzione degli infortuni sul lavoro ai danni di J.B. .
2. Il fatto era stato così ricostruito: J.B. lavorava presso un impianto di separazione e recupero di materiali ferrosi composto da alcune attrezzature collocate in serie, fra cui un separatore, un vaglio rotante ed un nastro trasportatore; mentre cercava di rimuovere degli spezzoni di metallo in prossimità del rullo in movimento, la sua mano destra era stata agganciata e tutto il braccio era stato trascinato all’interno del macchinario; l’imputata era datrice di lavoro dell’infortunato, essendo consigliere delegato della Corte s.r.l. con ampi poteri in materia di sicurezza, ed era alla stessa riferibile la decisione di installare le griglie di protezione per segregare il nastro trasportatore; il nastro trasportatore era stato acquistato nel febbraio 2009, alcuni mesi prima dell’infortunio, verificatosi nel mese di ottobre, come materiale ferroso da rottamare e assemblato agli altri componenti, fra i quali il separatore, nel mese di luglio; il lavoratore infortunato era stato assunto nel mese di settembre con un contratto a tempo determinato ed era addetto a varie mansioni, tra le quali quella di pulizia del nastro trasportatore; tale pulizia veniva eseguita alla fine del turno di lavoro, a macchina ferma e con soffi di aria compressa; la segregazione del rullo del nastro trasportatore era stata realizzata con griglie gialle legate fra loro con fascette di plastica e appoggiate al terreno; pur essendo stata una scelta imprudente del lavoratore quella di rimuovere le griglie di protezione tagliando le fascette che le univano e ponendole da un lato, al fine di introdurre la mano nei meandri del nastro per cogliere un pezzo di metallo, la protezione posizionata al fine di rendere inaccessibile il rullo non era secondo i giudici di costruzione robusta ed era facilmente eludibile in quanto le griglie potevano essere facilmente rimosse.
3. Z.E. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) violazione dell’art.29, comma 3, d. lgs. 9 aprile 2008, n.81. Premesso che la norma impone la rielaborazione della valutazione dei rischi solo in relazione ad eventi e cambiamenti di una certa rilevanza, la ricorrente deduce che, nel caso concreto, non vi fosse stata una significativa modifica del processo produttivo ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori, né erano stati introdotti nuovi rischi non valutati. Il documento di valutazione dei rischi in vigore al momento dell’infortunio, si assume, dimostra che la Corte s.r.l. avesse già compiuto un’adeguata valutazione del rischio in relazione ai nastri trasportatori, errando la Corte di Appello nel ritenere applicabile la norma che si assume violata;
b) violazione dell’art.71 d. lgs. 9 aprile 2008, n.81. Secondo la ricorrente, la violazione contestata non è riferibile alla protezione degli organi in movimento mediante presidi difficilmente amovibili e, in ogni caso, il nastro trasportatore era dotato di un carter fisso ed inamovibile che proteggeva il rullo sul quale il nastro scorreva e non necessitava di ulteriori protezioni, essendo le griglie di protezione collocate dalla società datrice di lavoro superflue e non necessarie perché il nastro potesse operare in sicurezza. Non era, infatti, possibile venire in contatto con gli organi in movimento se non attraverso la sconsiderata manovra posta in essere dal lavoratore. In ogni caso, si assume, una protezione non diventa facilmente amovibile solo perché un lavoratore l’ha sconsideratamente manomessa;
e) violazione degli artt. 590 e 41 cod. pen. – travisamento della prova e del risultato della prova – manifesta contraddittorietà ed illogicità della motivazione. La ricorrente deduce che l’infortunio è stato causato dalla condotta abnorme ed assolutamente imprevedibile del lavoratore, che ha tagliato le fascette che collegavano le reti di protezione poste attorno al carter del nastro trasportatore; si sostiene che la sentenza sia contraddittoria e illogica per avere ritenuto la condotta del lavoratore non abnorme né imprevedibile, pur avendo riconosciuto che il Jakaj non era addetto alla macchina sulla quale si è infortunato e fosse consapevole del divieto di avvicinarsi agli organi in movimento della macchina e della necessità di compiere le operazioni di pulizia a macchina ferma;
d) eccessività della pena e mancata applicazione della sola pena pecuniaria. La ricorrente deduce che la Corte di Appello non si è pronunciata sull’istanza di applicazione della pena pecuniaria in luogo di quella detentiva senza sospensione condizionale.

Diritto

1. Si esamina, in primo luogo, l’ultimo motivo di ricorso in quanto inammissibile perché manifestamente infondato, posto che la Corte territoriale ha accolto l’istanza di applicazione della pena pecuniaria con revoca della sospensione condizionale, riformando sul punto la sentenza di primo grado.
2. Con riguardo agli altri motivi di ricorso, giova premettere alcuni principi affermati dalla Corte di legittimità in materia.
2.1. Il tema della condotta cosiddetta abnorme del lavoratore è da valutare in applicazione dell’art.41, secondo comma, cod. pen., a norma del quale il nesso eziologico può essere interrotto da una causa sopravvenuta che si presenti come atipica, estranea alle normali e prevedibili linee di sviluppo della serie causale attribuibile all’agente e costituisca, quindi, un fattore eccezionale.
2.2. Con una recente sentenza di questa Sezione (Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Lovison, Rv. 254094) sono state richiamate le pronunce della Corte nelle quali si è ritenuto che il comportamento del lavoratore avesse interrotto il nesso di causalità tra l’azione o l’omissione del datore di lavoro e l’evento e, in dettaglio, le seguenti:
1) un dipendente di un albergo in una località termale, terminato il turno di lavoro, si era diretto verso l’auto parcheggiata nei pressi e, per guadagnare tempo, invece di percorrere la strada normale, si era introdotto abusivamente in un’area di pertinenza di un attiguo albergo ed aveva percorso un marciapiede posto a margine di una vasca con fango termale alla temperatura di circa 80 gradi. L’area era protetta da ringhiere metalliche ed il passaggio era sbarrato da due catenelle, mentre non esisteva alcuna protezione all’interno dell’area stessa, sui passaggi che fiancheggiavano le vasche. In prossimità dell’area si trovavano segnali di pericolo. L’uomo, che conosceva molto bene la zona, aveva scavalcato le catenelle e si era incamminato lungo i marciapiedi, ma aveva messo un piede in fallo cadendo nella vasca e perdendovi la vita (Sez. 4, n. 11311 del 07/05/1985, Bernardi, Rv. 171215). La pronunzia assolutoria, confermata dal giudice di legittimità, era motivata dal fatto che il lavoratore conosceva benissimo i luoghi e fosse ben consapevole dei pericoli derivanti dal fango ad alta temperatura, dai vapori che ne emanavano e dal buio;
2) un operaio addetto ad una pala meccanica che si era improvvisamente bloccata era sceso dal mezzo senza spegnere il motore e, sdraiatosi sotto di essa tra i cingoli, aveva sbloccato a mano la frizione difettosa sicché il veicolo, muovendosi, lo aveva travolto. La Corte ha, in tale occasione, affermato il principio che la responsabilità dell’imprenditore deve essere esclusa allorché l’infortunio si sia verificato a causa di una condotta del lavoratore inopinabile ed esorbitante dal procedimento di lavoro cui è addetto, oppure a causa di inosservanza di precise disposizioni antinfortunistiche (Sez.4, n.3510 del 10/11/1989, dep.1990, Addesso, Rv.183633);
3) un lavoratore, addetto ad una macchina dotata di fresatrice, con il compito di introdurvi manualmente degli elementi di legno, aveva inserito la mano all’interno dell’apparato, , per rimuovere residui di lavorazione, subendone l’amputazione. L’imputazione riguardava il reato di cui all’art. 590 cod. pen. in relazione all’art. 68 d.P.R. n.547/55 per la mancata adozione di idonei dispositivi di sicurezza. La Corte di Appello aveva affermato la responsabilità del titolare della ditta e del preposto ai lavori. La Corte di Cassazione ha, invece, annullato con rinvio ai giudice di merito perché verificasse se l’incongruo intervento del lavoratore fosse stato richiesto da particolari esigenze tecniche, osservando che l’operazione compiuta era rigorosamente vietata; che la macchina era dotata di idoneo strumento aspiratore; che il lavoratore era perfettamente consapevole che la fresatrice fosse in movimento; che qualunque accorgimento tecnico volto ad obbligare l’operatore a tenere ambo le mani impegnate per far andare la macchina avrebbe dovuto fare i conti con il tipo di lavorazione, nel quale la manualità dell’operatore era totalmente assorbita nell’introduzione del legno nell’apparato (Sez.4, n. 10733 del 25/09/1995, Dal Pont, Rv. 203223).
2.3. La condotta colposa del lavoratore è stata, in altra pronuncia, ritenuta idonea ad escludere la responsabilità dell’imprenditore, dei dirigenti e dei preposti in quanto esorbitante dal procedimento di lavoro al quale egli era addetto oppure concretantesi nella inosservanza di precise norme antinfortunistiche (Sez. 4, n. 1484 del 08/11/1989, dep.1990, Dell’Oro,Rv. 183199). In alcune sentenze il principio è stato ribadito, e si è altresì sottolineato che la condotta esorbitante deve essere incompatibile con il sistema di lavorazione o, pur rientrandovi, deve consistere in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro, tali non essendo i comportamenti tipici del lavoratore abituato al lavoro di routine (Sez. 4, n. 40164 del 03/06/2004, Giustiniani, Rv.229564; Sez. 4, n. 9568 del 11/02/1991, Lapi, Rv. 188202); in altre si è sostenuto che l’inopinabilità può essere desunta o dalla estraneità al processo produttivo o dall’estraneità alle mansioni attribuite (Sez.4, n. 12115 del 03/06/1999, Grande, Rv.214998; Sez.4, n.8676 del 14/06/1996, Ieritano, Rv. 206012), o dal carattere del tutto anomalo della condotta del lavoratore (Sez.4, n. 2172 del 13/11/1984, dep.1986, Accettura, Rv.172160).
2.4. Se, dunque, da un lato, è stato posto l’accento sulle mansioni del lavoratore, quale criterio idoneo a discriminare il comportamento anomalo da quello che non lo è, nel concetto di esorbitanza si è ritenuto di includere anche l’inosservanza di precise norme antinfortunistiche, ovvero la condotta del lavoratore contraria a precise direttive organizzative ricevute, a condizione che l’infortunio non risulti determinato da assenza o inidoneità delle misure di 2.5. In sintesi, si può cogliere nella giurisprudenza di legittimità la tendenza a considerare interruttiva del nesso di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore non solo quando essa si collochi in qualche modo al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso ma anche quando, pur collocandosi nell’area di rischio, sia esorbitante dalle precise direttive ricevute ed, in sostanza, consapevolmente idonea a neutralizzare i presidi antinfortunistici posti in essere dal datore di lavoro; cionondimeno, quest’ultimo, dal canto suo, deve aver previsto il rischio ed adottato le misure prevenzionistiche esigibili in relazione alle particolarità del lavoro.
2.6. Dai principi così richiamati si può, dunque, sviluppare il seguente corollario: si deve ritenere abnorme o, comunque, eccezionale ed, in quanto tale, idoneo ad interrompere il nesso di causa tra la condotta datoriale e l’evento il comportamento del lavoratore esorbitante dalle precise direttive impartitegli, ovvero tendente a superare le barriere poste a presidio della sua sicurezza, a condizione che il datore di lavoro abbia adottato le misure prevenzionistiche esigibili in relazione alle particolarità del lavoro.
2.7. La giurisprudenza di legittimità è, infatti, ferma nel sostenere che non possa discutersi di responsabilità (o anche solo di corresponsabilità) del lavoratore per l’infortunio quando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità (Sez.4, n. 22044 del 2/05/2012, Goracci, n.m.; Sez.4, n.16888 del 07/02/2012, Pugliese, Rv. 252373; Sez.4, n.21511 del 15/04/2010, De Vita, n.m.). Le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l’area di rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l’instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli (Sez.4, n.4114 del 13/01/2011, n.4114, Galante, n.m.; Sez. F, n.32357 del 12/08/2010, Mazzei, Rv. 2479962).
2.8. La pronuncia già citata (Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Lovison, Rv. 254094) ha anche fornito un analitico quadro delle attuali posizioni di garanzia nel sistema della sicurezza del lavoro, sottolineando come le stesse si conformino intorno all’idea centrale di rischio. La vigente tutela penale dell’integrità psicofisica dei lavoratori risente, infatti, della scelta di fondo del legislatore di attribuire rilievo dirimente al concetto di prevenzione dei rischi connessi all’attività lavorativa e di ritenere che la prevenzione si debba basare sulla programmazione del sistema di sicurezza aziendale nonché su un modello di gestione del rischio da attività lavorativa. Sono stati, così, delineati i compiti di una serie di soggetti – anche dotati di specifiche professionalità -, nonché degli stessi lavoratori, funzionali ad individuare ed attuare le misure più adeguate a prevenire i rischi connessi all’esercizio dell’attività d’impresa. Le forme di protezione antinfortunistica, dopo l’entrata in vigore dei decreti d’ispirazione comunitaria, tendono, in altre parole, principalmente a minimizzare i rischi, bilanciando gli interessi connessi alla sicurezza del lavoro con quelli che vi possano entrare in potenziale contrasto.
2.9. Ne discende una diversa prospettiva dalla quale il giudice del merito è tenuto ad accertare la sussistenza delle posizioni di garanzia e le, conseguenti, responsabilità penali per omissione di dovute cautele; se il nuovo sistema di sicurezza aziendale si configura come procedimento di programmazione della prevenzione globale dei rischi, si tratta, in sostanza, di ampliare il campo di osservazione dell’evento infortunistico, ricomprendendo nell’ambito delle omissioni penalmente rilevanti tutti quei comportamenti dai quali sia derivata una carente programmazione dei rischi. E’ evidente, da questa diversa prospettiva, il rilievo che assumono, innanzitutto, i compiti non delegabili di predisposizione del documento di valutazione dei rischi e di nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione da parte del datore di lavoro.
2.10. Il giudice del merito è, dunque, in primo luogo tenuto ad individuare l’area di rischio la cui corretta prevenzione avrebbe evitato l’evento. Con la precisazione che, dal raccordo delle norme di matrice comunitaria dettate con d.P.R. 24 luglio 1996, n. 459(cosiddetta ) con il sistema prevenzionistico in vigore, si è desunta un’anticipazione della tutela antinfortunistica al momento della costruzione, vendita, noleggio e concessione in uso delle macchine, parti di macchine o apparecchi in genere, coinvolgendosi nella responsabilità per la mancata rispondenza dei prodotti alle normative di sicurezza tutti gli operatori ai quali siano imputabili dette attività. Si è, in sostanza, introdotto un “minimum tecnologico obbligato comune” (Sez.3, n.37408 del 24/06/2005, Guerinoni, n.m.) che, da un lato, ha esteso ad altri operatori l’obbligo di controllo della regolarità della macchina o del pezzo prima che gli stessi vengano messi a disposizione del lavoratore; d’altro canto, si è attribuito tale obbligo a soggetti individuati come costruttori in senso giuridico del macchinario quando, ad esempio, pur risultando il macchinario composto di pezzi prodotti da altre ditte, l’obbligo di controllare la regolarità del macchinario nel suo complesso al fine di ottenere la certificazione necessaria per immetterlo sul mercato spetti ad una impresa in particolare, in ipotesi incaricata di assemblare tutte le componenti (Sez.4, n.4923 del 15/12/2009, dep. 2010, Bonfiglioli, n.m.).
3. Tutto ciò premesso, è importante sottolineare che la pronuncia impugnata ha confermato la prospettazione difensiva secondo la quale non è stato provato che al lavoratore fosse stato ordinato di pulire il nastro trasportatore né che egli fosse addetto a quel macchinario, riportando che il lavoratore aveva dichiarato di essere consapevole del divieto di avvicinarsi agli organi in movimento della macchina e della necessità di compiere le operazioni di pulizia a macchina ferma. La Corte ha, tuttavia, escluso l’abnormità della condotta del lavoratore sia perché lo stesso si trovava nelle vicinanze del nastro trasportatore in quanto addetto alla pulizia del piazzale sia perché aveva provveduto altre volte anche alla pulizia del nastro, da ciò desumendo trattarsi di un comportamento non imprevedibile da collegare causalmente alla condotta omissiva del datore di lavoro; tale condotta risulta descritta in termini di omessa protezione degli organi in movimento della macchina in modo adeguato, quale conseguenza dell’omessa valutazione del relativo rischio. Tanto in considerazione del peculiare fatto che l’impianto non era stato acquistato così come visibile al momento dell’infortunio, ma era stato assemblato all’interno dell’impresa impiegando un nastro trasportatore acquistato come rottame e dotandolo di protezioni costruite artigianalmente. Il giudice di appello aveva replicato alla deduzione difensiva riproposta nel ricorso, che con tale replica tuttavia non si confronta, affermando che la valutazione dei rischi redatta per tutti gli altri impianti di quel tipo presenti in azienda non potesse essere estesa senza modifiche né integrazioni anche a quel particolare impianto, posto che si trattava di impianto assemblato in azienda, privo di preventiva valutazione del costruttore e del venditore. Con riguardo alla regola cautelare imposta dall’art. 71 d. lgs. n.81/2008, la Corte ha ritenuto che le griglie del peso di kg.25, appoggiate al terreno e unite tra loro da fascette di plastica del tipo di quelle utilizzate dagli elettricisti, costituissero un sistema di protezione non idoneo alla luce della Direttiva macchine, che impone che le protezioni siano fissate solidamente e che il loro fissaggio sia ottenuto con sistemi che richiedono l’uso di utensili per la loro apertura, interpretando tale regola come indicativa dell’intento del legislatore di imporre presidi la cui rimozione sia complessa e comporti per il lavoratore un dispendio di tempo e fatica, al fine di scoraggiarlo dal rimuovere tali protezioni per lavorare più in fretta. A conferma dell’assunto, il giudice di merito ha sottolineato che, successivamente all’infortunio, su prescrizione della ASL, l’impianto era stato dotato di protezioni in lamierino bloccate con viti ed ha giudicato significativamente differente la protezione che richieda al dipendente di andare a cercare una chiave inglese o altro attrezzo simile dalla protezione che possa essere rimossa con il taglio di tre o quattro fascette e lo spostamento di due paratie.
4. La pronuncia risulta emessa nel rispetto delle prescrizioni antinfortunistiche, delle quali fornisce un’interpretazione esente da manifesta illogicità o contraddittorietà, oltre che nel pieno rispetto dei principi interpretativi sopra richiamati. In particolare, la Corte di Appello ha chiarito le ragioni per le quali la macchina in questione fosse soggetta ad un’autonoma valutazione del rischio rispetto ad altre attrezzature presenti in azienda ed ha correttamente applicato le previsioni dell’art.71 d. lgs. n.81/2008 che, coordinato con il precedente art.70, evidenzia i requisiti di sicurezza delle macchine richiamati nel capo d’imputazione; requisiti che possono evincersi dall’All.V al d. lgs. n.81/2008, qualora si tratti di attrezzature costruite in assenza di disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto (art.70, comma 2, d. lgs. n.81/2008), ovvero da queste ultime disposizioni negli altri casi. Disposizioni al cui rispetto il datore di lavoro, per quanto sopra enunciato in via di principio, è tenuto.
5. Conclusivamente, il ricorso è infondato e deve essere rigettato; segue, a norma dell’art.616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 10/07/2015

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