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Cassazione Civile, Sez. Lav., 21 gennaio 2016, n. 1060

Scontro tra docente, genitori degli allievi e dirigente dell’istituto: non si può parlare di mobbing.


Presidente Roselli – Relatore Esposito

Fatto

1. Con sentenza dei 28/4/2010 la Corte d’Appello di Milano confermava la sentenza del giudice di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da R.M., assegnataria di cattedra presso la scuola elementare statale Canetta nel rione S.Ambrogio di Varese, nei confronti del Ministero dell’Istruzione nonché di M.G., dirigente scolastico, diretta ad accertare la responsabilità solidale dei convenuti per comportamenti aggressivi e svalutanti posti in essere nei suoi confronti, con condanna dei predetti al risarcimento dei danni esistenziale e biologico oltre al rimborso di spese mediche, e nei confronti del MIUR anche al ricalcolo della retribuzione elargita nel periodo di comporto.
2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la M., affidato a due motivi. Resiste la Mirandola con controricorso, il MIUR è rimasto intimato.

Diritto

1.Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 115, 116, 414 n. 5, 420 co. 5 e 421 c.p.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 co 1 n. 5 c.p.c. Rileva la ricorrente il difetto di istruttoria, poiché i giudici di primo e secondo grado non avevano ammesso alcuna prova, non avevano dato ingresso alla richiesta ctu, non avevano esaminato le prove costituite né avevano ritenuto di esercitare i poteri istruttori officiosi ex art. 421 c.p.
2.Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’at. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5). Rileva che la sentenza si è pronunciata per relationem ( con riferimento alla decisione di primo grado) sui fatti contestati, con risposta apparente ai motivi di gravame; pur ritenendo insussistente una situazione di mobbing elenca e descrive una serie di gravi condotte anche di ordine penale subite dalla M.. Osserva che i giudici del merito avevano profondamente errato non avendo preso in considerazione risultanze che non necessitavano di interpretazioni e valutazioni, ma semplice considerazione.
3.Il primo motivo di ricorso è infondato. I giudici del merito, infatti, hanno rilevato l’inidoneità di molti dei comportamenti denunciati (quali la mancata indizione di un’assemblea, l’invito ai genitori di formalizzare le loro lamentele ed altri specificamente indicati in sentenza) a integrare in astratto una condotta reiterata nel tempo in danno del lavoratore, qualificabile come mobbing; hanno rilevato, altresì, che altri comportamenti richiamati (quali il diniego di intervento da parte della Direzione Sanitaria alle lamentele dei genitori e alle suppliche dell’insegnante ed altri, pure specificati) non sarebbero in ogni caso rilevanti in termini di mobbing, perché inseriti in una vicenda caratterizzata da anomalie comportamentali poste in essere dalla stessa ricorrente. Una volta esclusa a monte la rilevanza dei fatti allegati in termini di decisività, emerge l’infondatezza delle lamentate omissioni istruttorie.
4. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile. La ricorrente, lungi dall’indicare specificamente i profili di asserita carenza e contraddittorietà della motivazione, si è limitata a proporre una valutazione delle risultanze istruttorie alternativa rispetto a quella offerta in sentenza, in tal modo sottoponendo alla Corte di legittimità questioni di mero fatto atte a indurre a un preteso nuovo giudizio di merito precluso in questa sede (v. Sez. 5, Sentenza n. 25332 del 28/11/2014, Rv. 633335): il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice dei fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti).
5. Per le ragioni indicate il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da M.G. nel presente giudizio di cassazione, che liquida in € 100,00 per esborsi e in € 2.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.

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