Repertorio Salute

Cassazione Civile, Sez. 3, 23 giugno 2016, n. 13006

Appalto per la fornitura di terra di giardino e ribaltamento del mezzo. Errata manovra di scarico della vittima o responsabilità del committente?


Presidente: CHIARINI MARIA MARGHERITA
Relatore: BARRECA GIUSEPPINA LUCIANA
Data pubblicazione: 23/06/2016

Fatto

1. – F.T., in proprio e nella qualità di esercente la potestà sui figli minori D.R. E. e G., citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Avezzano R.R. e C.C., chiedendo la loro condanna al risarcimento dei danni patiti in seguito alla morte di A. D.R., marito e padre degli attori. L’attrice esponeva che in data 9 marzo 1990, alle ore 14 circa, il marito, autista alle dipendenze del R.R., nell’eseguire un’operazione di scarico di terra sulla rampa di accesso al fondo di proprietà del C.C. (committente dei lavori), con un automezzo Fiat Iveco 190, era stato mortalmente schiacciato dal medesimo automezzo che si era ribaltato. Deduceva che il mezzo era troppo grande rispetto all’area su cui operava, che la piattaforma della rampa non era sufficientemente solida e non erano state apposte tabelle di indicazioni di pericolo, che nel corso delle operazioni non vi erano tecnici o assistenti di cantiere, che il lavoratore non era stato informato sui modi di prevenire i rischi ed i danni, ed in ultimo che l’autocarro non presentava caratteristiche idonee ad evitare lo schiacciamento del conducente.
1.1. – Si costituirono in giudizio i due convenuti.
Il R.R. sosteneva, da un lato, la responsabilità del convenuto C.C., in quanto quest’ultimo aveva consentito l’operazione di scarico terra con autocarro su di un terreno che non poteva reggerne il peso; dall’altro, che, trattandosi di un infortunio sul lavoro, 1’INAIL aveva provveduto a liquidare il danno e aveva riconosciuto una rendita agli eredi. Deduceva comunque che era da ritenere sussistente una cooperazione colposa nell’incidente da parte della vittima.
Il C.C. sosteneva la sua estraneità al sinistro e chiedeva che, comunque, fosse riconosciuto il concorso di responsabilità del convenuto R.R..
1.2. – Nel corso del giudizio di primo grado, gli attori accettarono dalle Assicurazioni Generali S.p.A., società assicuratrice della ditta R.R., proprietaria dell’autocarro, una somma, offerta a titolo di copertura assicurativa, e perciò rinunciarono all’azione nei riguardi del convenuto R.R..
1.3. – Con sentenza n. 734 del 2008, il Tribunale di Avezzano rigettò la domanda degli attori contro il C.C., ritenendo responsabile il solo datore di lavoro, nei cui confronti dichiarò cessata la materia del contendere a seguito di rinuncia all’azione.
2. – La F.T. ed i figli hanno proposto appello, chiedendo la riforma dell’impugnata sentenza con la condanna del C.C. al risarcimento dei danni.
L’appellato si è costituito ed ha resistito alle domande, chiedendo il rigetto dell’appello.
Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 24 aprile 2012, la Corte di Appello dell’Aquila ha rigettato l’appello ed ha confermato la sentenza di primo grado, compensando tra le parti le spese di lite.
3. – Avverso la sentenza F.T., D.R. E. e G. propongono ricorso affidato a quattro motivi.
C.C. si difende con controricorso.

Diritto

1. – La Corte d’appello ha escluso la responsabilità del C.C. sia quale proprietario del fondo che quale committente dei lavori perché ha ritenuto che non fosse risultato coinvolto nella direzione e nell’ esecuzione dei lavori commissionati alla ditta R.R. e che vi fosse stata, come ritenuto dal giudice penale, «una preponderanza assoluta dell’apporto causale dell’iniziativa della stessa vittima nella causazione del tragico avvenimento». Ha corroborato quest’ultima affermazione, oltre che con le risultanze della prova testimoniale, con le conclusioni raggiunte dal consulente tecnico d’ufficio sia in merito all’errata manovra compiuta per lo scarico sia in merito alla “buona stabilità” garantita dalla strada di accesso, così implicitamente escludendo anche la responsabilità del C.C. per la creazione di una situazione di pericolo (o di insidia).
1.1.- Col primo motivo ì ricorrenti deducono la violazione degli artt. 2043, 2051, 2053 c.c. e la violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.
I ricorrenti criticano l’esclusione di responsabilità del C.C.:
– quale proprietario del terreno, perché il giudice del gravame avrebbe omesso di considerare il principio generale di responsabilità sancito dall’art. 2043 c.c., secondo cui il proprietario del fondo transitabile ha l’obbligo di risarcimento per fatti lesivi causati da questo in ragione dell’obbligo di vigilanza e controllo dei propri beni, come affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità. Ovvero, anche a voler soltanto considerare la disponibilità materiale del bene immobile, ai sensi dell’art. 2051 c.c., il giudice avrebbe dovuto riconoscere in capo al proprietario quanto meno la custodia del bene, per la quale quest’ultimo risponde dei danni provocati dal medesimo bene;
– quale titolare del cantiere, in quanto committente dei lavori, perché il giudice di merito non avrebbe tenuto conto delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni di cui al DPR 7/11/56 n.164 e al DPR 27/4/55 n.547, alle quali il C.C. si sarebbe dovuto uniformare;
– quale autore di una situazione di pericolo o insidia, perché il C.C. avrebbe taciuto lo stato di pericolo dei luoghi, da lui stesso creato, per la presenza di una cisterna sotterranea coperta da vecchie traversine in legno e per lavori svolti al di sotto del muro di contenimento, che perciò non avrebbe retto al peso dell’autocarro e sarebbe crollato. In ragione di questa insidia, la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenere la responsabilità del C.C. ai sensi dell’art. 2043 cod. civ.
1.2. – Col secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione del principio di rispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. ed il vizio di omessa, apparente o deficiente motivazione, perché il giudice del gravame non avrebbe esaminato il caso in tutti i suoi aspetti, sicché non si sarebbe pronunciato sull’intera domanda violando l’art. 112 c.p.c.
1.3. – Col terzo motivo i ricorrenti deducono il vizio di motivazione per sua totale carenza, illogicità e contraddittorietà.
Sostengono che la Corte di Appello avrebbe errato nel confermare pedissequamente le motivazioni del Tribunale di Avezzano.
Il motivo si articola nelle seguenti specifiche censure di vizio di motivazione:
– 1) del crollo del suo fondo avrebbe dovuto essere dichiarato responsabile il C.C. in quanto «contrariamente al ritenuto>> (id est, da parte del giudice), «oggettivamente “coinvolto nella esecuzione dei lavori” effettuati sulla sua proprietà>>, sia per le ragioni di diritto esposte col primo motivo sia perché i lavori si sarebbero svolti «in assenza di altre figure delegate>>;
– 2) la Corte di merito non avrebbe adeguatamente motivato sulla correlazione tra il crollo della piattaforma di scarico (connesso al diritto di proprietà del fondo e del cantiere) e le operazioni di fornitura di terra di giardino che erano state richieste alla ditta R.R.;
– 3) la Corte non avrebbe spiegato le ragioni per le quali, considerato il tipo di lavoro commissionato (“fornitura di terra da giardino per la sistemazione dell’orto adiacente il fabbricato”), sarebbero venuti meno gli obblighi del C.C. in ordine al “crollo” verificatosi nel cantiere;
– 4) sarebbe incongrua la motivazione fornita dal giudice circa il fatto che la situazione ambientale aveva già consentito senza problemi lo scarico di terra con lo stesso automezzo per sei volte ed aveva precedentemente consentito il passaggio di altri automezzi in occasione dei lavori di costruzione del fabbricato.
1.4. – Col quarto motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art.112 c.p.c. per omessa pronuncia su domanda costituente motivo specifico di ricorso in appello e
violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.
Per un verso, lamentano che il giudice d’appello non si sarebbe pronunciato sul secondo motivo d’appello, col quale la sentenza di primo grado era censurata per la mancata ammissione delle prove volte a far accertare la realizzazione di una situazione di “insidia” da parte del C.C..
Per altro verso, censurano comunque la decisione di secondo grado che, uniformandosi a quella di primo grado, ha ritenuto superflua l’ammissione dei mezzi istruttori, richiesti dagli attori, senza fornire al riguardo alcuna motivazione.
2. – I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, sono in parte infondati ed in parte inammissibili.
L’inammissibilità riguarda, in primo luogo, il terzo motivo in quanto, lamentando vizi di motivazione, non fa che riferirsi agli accertamenti di fatto, senza evidenziarne incongruenze tali da consentire l’intervento di questa Corte -che non può che fermarsi sulla soglia del controllo del ragionamento logico-giuridico del giudice di merito.
Ed invero, il dato di fatto fondamentale da cui hanno preso le mosse i giudici è che, nel caso di specie, vi fosse un appalto per la fornitura di terra di giardino e la sistemazione della stessa sul fondo di proprietà del C.C., che questi aveva commissionato alla ditta appaltatrice R.R.. Entrambi hanno ritenuto che il cantiere fosse nella disponibilità di quest’ultima e che alla stessa il proprietario-committente avesse lasciato completa autonomia nell’esecuzione dell’opera. Questo accertamento è censurato soltanto mediante la mera contrapposizione della tesi dei ricorrenti, secondo cui il C.C. non solo avrebbe mantenuto il controllo della direzione dei lavori, ma anche la titolarità del cantiere, e quindi la custodia dei luoghi. Tuttavia, per sostenere questa tesi i ricorrenti non evidenziano alcun significativo elemento di prova -né assunto né offerto (come si dirà trattando della prova non ammessa, di cui al quarto motivo)- che se considerato dal giudice del merito avrebbe invece dovuto condurre quest’ultimo a ricostruire diversamente i rapporti tra committente-proprietario ed appaltatore.
Non sono certo idonei allo scopo i rilievi di cui al terzo motivo secondo cui il committente sarebbe stato “oggettivamente” coinvolto nell’esecuzione dei lavori, in quanto si tratta di mera asserzione (così come mera asserzione è quella dell’«assenza di altre figure delegate>>, che appare incomprensibile se si parte dal dato, non smentito, dell’appalto dei lavori); né sono decisivi i rilievi contenuti nello stesso terzo motivo, che si fondano sulla natura dei lavori appaltati, considerato che questa non appare, di per sé, incompatibile col dato di fatto, accertato dal giudice di merito, della dismissione della custodia dei luoghi da parte del committente-proprietario.
2.1.- Fermi restando i detti accertamenti in fatto, risultano infondate le censure in diritto dì cui al primo ed al secondo motivo.
In proposito, va tenuto presente che, in caso di appalto di lavori, elemento determinante per escludere o configurare la responsabilità del committente, quale proprietario e custode dell’immobile nel quale i lavori sono eseguiti, è la conservazione in capo allo stesso di quel potere dì fatto sulla cosa che giustifica l’attribuzione di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. Pertanto, nel caso di appalto che implichi il trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile nel quale deve essere eseguita l’opera appaltata, viene meno per il committente, che non sia detentore attuale del bene, il dovere di custodia e di vigilanza e, con esso, la conseguente responsabilità ex art. 2051 cod. civ., che presuppone la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha determinato l’evento lesivo (arg. a contrario, tra le tante, da Cass. n. 15734/11) .
Pertanto, la pretesa dei ricorrenti di far discendere dalla sola qualità di proprietario e committente in capo al C.C. la sua responsabilità per il fatto verificatosi nel compimento di lavori appaltati alla ditta R.R. non è fondata in diritto, una volta che, in punto di fatto sia stato accertato -con accertamento non validamente censurato ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.- che il C.C. non aveva la disponibilità del cantiere e dei luoghi.
3. – In merito, invece, al diverso profilo di responsabilità ascritto allo stesso C.C., per avere, sempre nella sua qualità di proprietario, creato una situazione di pericolo (o di insidia) a causa di pregressi lavori di scavo e di realizzazione di una cisterna d’acqua al di sotto della strada dove si verificò in mortale sinistro per cui è processo, si osserva quanto segue.
Il quarto motivo di ricorso che riguarda il relativo accertamento in fatto è infondato quanto alla denuncia di vizio di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per non avere la Corte d’appello pronunciato in merito al corrispondente motivo di gravame.
In effetti, pur se con motivazione stringata, il giudice d’appello mostra di aver tenuto conto della doglianza degli appellanti circa la mancata ammissione della prova testimoniale, laddove ha richiamato gli esiti della consulenza tecnica d’ufficio sottolineando come questa ha evidenziato . Così decidendo, il giudice di merito ha finito per reputare irrilevante la prova testimoniale richiesta in primo grado, con istanza ribadita in appello.
Se si considera che -per come risulta anche dai capitoli della prova testimoniale riportati in ricorso- detta prova testimoniale avrebbe avuto ad oggetto proprio i lavori eseguiti dal C.C. al di sotto della rampa di accesso (al fine di desumere dai dati oggettivi richiesti ai testimoni, la valutazione di tipo tecnico dell’incidenza di detti lavori sulla transitabilità della strada), ogni doglianza dei ricorrenti in merito alla sua mancata ammissione da parte dei due giudici di merito risulta inammissibile. Appare infatti ragionevole e logica, di certo non insufficiente, la motivazione della sentenza che si sia riferita agli esiti della CTU concernenti proprio il dato tecnico-valutativo che si sarebbe dovuto desumere dalla prova testimoniale non ammessa, atteso che lo stato dei luoghi su cui avrebbero dovuto riferire i testimoni è quello sul quale risulta che il CTU abbia fondato il proprio giudizio. Intanto le doglianze dei ricorrenti sarebbero state ammissibili in quanto avessero evidenziato significative lacune della consulenza tecnica d’ufficio atte ad inficiarne l’esito sul quale il giudice ha fondato la propria motivazione. Essendo mancato qualsivoglia rilievo in merito alle considerazioni ed alle conclusioni del consulente tecnico, il motivo è inammissibile.
Infatti, il giudice del merito non è tenuto ad esporre in modo puntuale le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, potendo limitarsi ad un mero richiamo di esse, a meno che non siano mosse alla consulenza precise censure. In tale ultima eventualità, il vizio di motivazione è però denunciabile, in sede di legittimità, solo attraverso una indicazione specifica delle censure non esaminate dal medesimo giudice 4 censure che, a loro volta, devono essere trascritte nel ricorso per cassazione al fine di consentire, su di esse, la valutazione di decisività (cfr. Cass. n. 18688/07, n. 10222/09 e, da ultimo, n. 12703/15).
4.- Infine, non appare adeguatamente censurata l’ulteriore ragione della decisione, che il giudice del merito ha individuato nell’apporto causale preponderante del comportamento della vittima, ascrivendo all’errore nella manovra di scarico la ragione del crollo della parte di piattaforma su cui si trovava il mezzo guidato dal D.R..
Tenuto conto di quanto detto a proposito della stabilità della strada (che, nella motivazione, trova ulteriore supporto nelle dichiarazioni del testimone che ha riferito che questa aveva consentito numerosi precedenti passaggi di automezzi di cantiere) e considerata l’individuazione della causa prima dell’incidente nell’errata manovra della vittima (evidenziata dal CTU), è congrua la motivazione che -data la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di merito- ha escluso che abbia avuto una qualsivoglia efficacia causale la situazione di asserita pericolosità dei luoghi come sarebbe stata determinata dai pregressi lavori compiuti dal C.C..
Anche sotto questo profilo le censure risultano inammissibili, poiché volte a contrapporre alla ricostruzione dei fatti, che il giudice ha basato sulla prova testimoniale e sulla consulenza tecnica, una diversa ricostruzione che però non tiene conto delle emergenze istruttorie sulle quali la sentenza è fondata.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Considerata l’epoca di instaurazione del giudizio, precedente l’entrata in vigore delle modifiche apportate all’art. 92, comma secondo, cod. proc. civ. dalla legge 263 del 2005 e succ. mod., si ritiene che sussistano giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità.
Avuto riguardo al fatto che il ricorso è stato notificato dopo il 31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dell’art. 13 del D.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d. P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, in data 6 aprile 2016.

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