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Uomo e macchina: nuove forme di lavoro

Fonte: Blog Daniele Verdesca


Vediamo a che punto è il dibattito più avanzato in merito alla compresenza nel ciclo produttivo di Robot e Umani, e di come il cambio di paradigma sia la fonte primaria da adottare per poter governare gli ammodernamenti che le tecnologie stanno portando nel mondo della produzione e della creazione di valore.

SMART WORKS ROBOT

Per quel che riguarda il panorama internazionale (tutto in inglese ovviamente), segnalo  la ricerca elaborata dalla società finanziaria CITI, in collaborazione con l’Università di Oxford, su “Tecnologia al lavoro” (Technology at Work), sul futuro della tecnologia nei processi produttivi o industriali e le ricadute sul fronte occupazionale.

La forma che assumerà il lavoro nel futuro non è definita soltanto dalla convenienza a investire in macchine per sostituire umani, ma anche dal modo con il quale gli umani impareranno a riorganizzarsi. Non solo sul lavoro. Ma anche nell’attività di progettazione di macchine e piattaforme: non è obbligatorio che siano pensate per sostituire l’umano o il lavoratore dipendente. Possono essere pensate anche per moltiplicarne il valore, per facilitarne la collaborazione, per rendere più semplice l’attività manuale e valorizzare il contenuto di conoscenza dei prodotti.

Carl Benedikt Frey e Michael A. Osborne, ricercatori a Oxford, escono con un nuovo paper (Technology at work. The Future of Innovation and Employment), dove argomentano il principio empirico per cui la fortissima innovatività del sistema del XXI secolo ha prodotto vantaggi distribuiti in modo non equo: i lavoratori non hanno tratto benefici, mentre gli azionisti sì.

Non si può però non segnalare come, di fronte ai cambiamenti in atto e sulla spinta della on demand economy basata sulle piattaforme che gestiscono varie forme di lavoro “freelance”, anche i lavoratori si stiano lentamente organizzando. Cito Roberto Ciccarelli:

Le pratiche dell’auto-organizzazione e del mutualismo 2.0 rappresentano il futuro e un’alternativa alla sharing economy, «il reaganismo con altri mezzi» (Scholz): l’uso capitalistico che l’individuo fa della casa o della macchina, della forza-lavoro just-in-time per eseguire micro-lavori creativi, esecutivi, dell’intrattenimento. La «cooperazione di piattaforma» sta sviluppando proprie istituzioni e strumenti come la class action per rivendicare diritti individuali e sociali nelle città, come nei tribunali. Realtà pressoché sconosciute in Italia, ancora concentrata sull’immagine ingenua della sharing economy come un’economia dei servizi on-demand via smartphone.

Da non sottovalutare poi le posizioni opposte. L’idea è chiara: i computer sono destinati a sostituire molte operazioni tecniche e anche diverse attività di produzione di tecnologia. Quali capacità umane serviranno? Creatività, empatia, ascolto, visione… Capacità che si alimentano di cultura umanistica. Lo dice Tom Perrault sulla Harvard Business Review.

Non manco di segnalare, in conclusione, un interessantissimo articolo tecnico scientifico sui Sistemi Industriali Cyber-Virtuali (Cyber-Virtual Systems: Simulation, Validation & Visualization) dei ricercatori Jan Olaf Blech, Maria Spichkova, Ian Peake, Heinz Schmidt. Viene proposto un modello di gestione informatico e robotico per governare telematicamente un ciclo industriale, anche in collaborazione con altri siti industriali remoti. Quello che emerge, al di là degli aspetti ingegneristici, è la necessità di ripensare veri e propri modelli (di software e di siti industriali), ossia elaborando modelli di comportamento dei componenti stessi dei siti industriali, così come modelli per utensili, robot, pezzi e altri macchinari, nonché strutture di comunicazione e sensori per il rapporto con gli Umani che vi operano (molte affinità le riscontro con il concetto di Jidoka dell’approccio LEAN).

Alcune rapide citazioni di altrettanto interessanti lavori (report):

Nello scenario italiano segnalo con piacere l’ebook della fondazione di ricerca ADAPT su Le relazioni di prossimità nel lavoro 4.0, atti integrati e rivisti del seminario La fine del diritto pesante del lavoro nella quarta rivoluzione industriale, a cura di M. Sacconi e E. Massagli. Nel documento le relazioni di lavoro sono analizzate nella loro funzionalità ai concreti obiettivi della sicurezza e della occupabilità delle persone come della competitività delle imprese, oltre i tradizionali “modelli” diventati spesso autoreferenziali.

Infine un interessante libro (anche se non ne condivido tutto l’ottimismo sottostante): Industria 4.0. Uomini e macchine nella fabbrica digitale, di A, Magone e T. Mazali (Guerini e Associati).

Molti sono gli spunti ancora a cui potrei far riferimento.

Ma per tornare al dibattito iniziale sulla sicurezza sul lavoro, segnalo il blog di un carissimo amico, Franco Mugliari (Muglia La Furia) che ha ripreso il mio post e ha contribuito a far proliferare il dibattito, assieme a Paolo Gentile dal suo sito (www.res-ergonomia.com).

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