di Tiziano Menduto
Un intervento si sofferma sulla prevenzione dello stress lavoro-correlato e sulle responsabilità datoriali. Il caso dell’omessa o carente effettuazione della valutazione del rischio stress lavoro-correlato. Le responsabilità sul piano penale e civile.
In questi ultimi anni, anche a causa del riferimento esplicito alla valutazione dello stress nell’articolo 28 del D.Lgs. 81/2008, il tema dello stress lavoro-correlato ha assunto un particolare rilievo che si è tradotto anche in una progressiva e crescente attenzione nelle pronunce della giurisprudenza.
Per approfondire in particolare le novità normative e giurisprudenziali relative alle responsabilità datoriali nella prevenzione dello stress nei luoghi di lavoro, ci soffermiamo sugli atti di un intervento che si è tenuto durante il convegno La prevenzione dei rischi da stress lavoro-correlato. Profili normativi e metodiche di valutazione (8 novembre 2013, Università degli studi di Urbino). Atti pubblicati, a cura di Luciano Angelini (Professore aggregato di Diritto del lavoro nell’Università di Urbino Carlo Bo), tra i “Working Papers” di Olympus e con il titolo La prevenzione dei rischi da stress lavoro-correlato. Profili normativi e metodiche di valutazione – Atti del Convegno Urbino – 8 novembre 2013.
In Prevenzione dello stress lavoro-correlato e responsabilità datoriali: nuove prospettive per la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, a cura di Roberta Nunin (Professore associato di Diritto del lavoro nell’Università di Trieste), vengono affrontati diversi temi: dagli obblighi e responsabilità datoriali al tema dell’organizzazione del lavoro come strumento per migliorare la prevenzione.
Riguardo alla responsabilità del datore di lavoro in ordine alla mancata prevenzione, l’intervento ricorda che “i profili di responsabilità individuabili in capo al datore di lavoro a fronte della violazione delle regole in tema di valutazione e prevenzione dei fenomeno dello stress lavoro-correlato sono molteplici”.
Riguardo al piano penale, muovendo dall’ipotesi di omessa o carente effettuazione della stessa valutazione del rischio stress lavoro-correlato (che “peraltro, si rammenti, determina l’insorgere di una responsabilità penale che prescinde da qualsiasi eventuale conseguenza negativa che possa interessare i lavoratori ed è modellata come fattispecie di carattere omissivo), si possono prospettare in concreto diverse ipotesi”. Ad esempio il datore di lavoro, potrebbe “non avere effettuato del tutto la valutazione dei rischi lavorativi, ovvero potrebbe avere valutato i rischi e redatto il relativo documento di valutazione, ma omettendo di valutare lo stress lavoro-correlato o, ancora, potrebbe avere effettuato anche tale ultima valutazione, ma in modo incompleto e carente, e/o omettendo di individuare le misure di prevenzione ed il relativo piano attuativo”.
A questo proposito “se l’omessa valutazione dei rischi (o la mancata predisposizione del relativo documento) realizza un illecito penale di tipo contravvenzionale da parte del datore di lavoro, laddove l’omissione, nei termini di cui sopra, abbia riguardato unicamente la valutazione dello stress lavoro-correlato”, si ritiene che conservi “piena valenza la giurisprudenza che, anche prima delle modifiche apportate al d.lgs. n. 81/2008 con il d.lgs. n. 106/2009, si era consolidata nel senso di un’equiparazione dell’adempimento solo ‘parziale’ del datore di lavoro alla condotta omissiva”. E infatti più volte si è sottolineato come l’art. 28 del Decreto 81 affermi chiaramente che la valutazione deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori.
Se fossimo invece di fronte ad una “redazione incompleta del documento di valutazione dei rischi, che presenti una carenza riferibile alle specifiche misure di prevenzione e protezione attuate, o al programma di misure da adottare per il miglioramento o, infine, alle procedure per l’attuazione di queste ultime (con espressa individuazione dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere)”, per il datore di lavoro l’art. 55, comma 3, del Testo Unico prevede “la sanzione di un’ammenda, contemplata anche nell’ipotesi in cui il datore di lavoro abbia adottato un documento di valutazione dei rischi che non contenga la relazione con i criteri di valutazione adottati o l’individuazione delle mansioni che eventualmente espongano i lavoratori a rischi specifici che richiedano una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento”.
Ed è evidente – continua l’intervento – che “laddove all’omissione degli obblighi in tema di prevenzione dello stress lavoro correlato siano poi riconducibili le fattispecie ben più gravi di lesioni o di omicidio colposo la responsabilità penale del datore di lavoro diverrà ancora più pesante”.
La relatrice porta l’esempio di una pronuncia della Cassazione dell’8 marzo 2013, n. 11062. La sentenza “a fronte delle lesioni riportate per una caduta da una scala da un lavoratore impegnato in un lavoro ripetitivo, ha ritenuto la penale responsabilità del datore in relazione all’assenza della valutazione dei rischi derivanti da posture incongrue, stress da lavoro ripetitivo e possibili cadute dall’alto”: si è ritenuto che le “specifiche modalità di lavoro, non adeguatamente analizzate in funzione dei correlati rischi, abbiamo determinato una situazione di stress e stanchezza per il lavoratore, poi infortunatosi”.
La relazione si sofferma anche sulla responsabilità del datore sul piano civilistico, per danni che “siano cagionati al singolo lavoratore dall’esposizione a (o dalla mancata prevenzione di) rischi riferibili al fenomeno dello stress lavoro-correlato”.
La questione si fa particolarmente delicata, in quanto il datore, nell’esercizio del proprio potere organizzativo, “è già dall’ art. 2087 del nostro codice civile obbligato ad adottare nell’impresa tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica risultino necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro”. Disposizione che, “seppure non potendo essere dilatata fino a far sorgere in capo al datore di lavoro una responsabilità oggettiva, avendo detta responsabilità natura contrattuale, è da molto tempo interpretata dalla giurisprudenza in senso estremamente rigoroso”. E in capo al datore di lavoro è individuato “un obbligo di continuo adattamento ed aggiornamento degli standard di prevenzione”.
In quest’ottica, “la codificazione ‘espressa’ di un obbligo di prevenzione dei fenomeni di stress lavoro-correlato operata dal d.lgs. n. 81/2008, se da un lato serve indubbiamente per rimuovere eventuali incertezze da parte del datore di lavoro quanto alla specifica rilevanza (anche) di tale peculiare fattore di rischio, dall’altro non significa affatto che ogni situazione di stress possa configurarsi comunque come rilevante (e risarcibile) ai fini della responsabilità del datore di lavoro, dovendo in ogni caso risultare una qualche derivazione/connessione dal/con l’ambiente e/o le condizioni di lavoro”.
La relatrice richiama una decisione della Sezione lavoro della Cassazione (Cass., sez. lav., 19 marzo 2012, n. 4324) che ha confermato una sentenza del 2010 della Corte d’appello di Bari che “aveva escluso che un datore di lavoro (pubblico) avesse posto in essere una condotta idonea a ledere l’integrità psico-fisica del dipendente”. La sentenza sottolinea nel caso di specie “come emergesse dalle acquisizioni probatorie una condizione di lavoro che, sebbene sicuramente connotata da carenze di organico e da conseguente progressivo aumento della mole di lavoro, appariva tuttavia valutabile come largamente presente in non poche realtà lavorative e, quindi, non affetta da anomalie e gravità tali da poter costituire causa di danno per il lavoratore ricorrente, il quale, tra l’altro, mai aveva sottoposto ai superiori gerarchici – prima dell’instaurazione del giudizio – alcuna lamentela circa detta situazione”.
In questa materia assume assoluta centralità il tema dell’onere probatorio: “sia la prova che deve fornire il lavoratore per ottenere il risarcimento, che quella richiesta al datore di lavoro, per essere esentato dalla responsabilità, possono rivelarsi tutt’altro che agevoli”.
A questo proposito “una dottrina ha proposto di valorizzare il richiamo operato dall’art. 28 del d.lgs. n. 81/2008 al ‘gruppo’ di lavoratori (che costituisce anche il parametro di riferimento per la valutazione preliminare dello stress lavoro-correlato secondo le indicazioni procedurali della Commissione consultiva), sicché se di un gruppo è stressato solo uno si può presumere che questo stress non dipenda dal lavoro [1]”.
Riguardo all’onere e ai contenuti della prova, il Tribunale di Roma (Trib. Roma n. 9496/2007), ha emesso una sentenza in relazione “al caso di una lavoratrice che si era creata delle forti aspettative quanto ad una possibile promozione – peraltro non suffragate in alcun modo da impegni formali da parte del datore di lavoro – ed avendo visto tali speranze frustrate era entrata in uno stato di profondissima crisi, che l’aveva condotta fino ad un esaurimento nervoso”. Il giudicante, “dopo una valutazione complessiva della condotta del datore di lavoro, era pervenuto ad escludere la responsabilità di questi, sottolineando come i problemi della lavoratrice in questione, pur essendo sicuramente riconducibili ad una situazione di stress lavoro-correlato, non potessero in alcun caso essere imputati al datore di lavoro, in quanto riferibili unicamente ad una costruzione mentale della lavoratrice stessa”.
Se poi si opera una veloce verifica nei “repertori della giurisprudenza, anche prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2008, alla ricerca di vicende nelle quali si sia accertata la ricorrenza di fenomeni di stress lavoro-correlato, con assoluta prevalenza emerge la valorizzazione causale di elementi oggettivi”: turni di lavoro eccessivamente pesanti, richieste di trasferte con condizioni particolarmente gravose, abuso degli straordinari. Tutte ipotesi “con riguardo alle quali i giudici hanno ripetutamente riconosciuto la responsabilità in capo al datore di lavoro per i danni lamentati dai lavoratori”.
Anche per il datore di lavoro l’onere della prova non è agevole: “per andare esente da responsabilità, dovrà provare non solo di aver provveduto a valutare il rischio specifico da stress lavoro-correlato, ma dovrà anche essere in grado di dimostrare, laddove da tale valutazione fosse emerso qualche profilo di criticità, di aver effettivamente adottato (ed implementato nel tempo) le necessarie ed adeguate misure di contenimento e contrasto”.
E un ulteriore profilo problematico è “quello riferibile alla presenza di possibili concause di stress, riconducibili a situazioni del tutto private del dipendente (come potrebbero essere – a titolo meramente esemplificativo – una grave malattia del coniuge o di un figlio, l’esistenza di un procedimento di separazione o di divorzio particolarmente litigioso, un grave lutto patito, ecc.). Potrebbe infatti essere assai arduo, in ipotesi siffatte, determinare con un accettabile grado di certezza quali cause nel caso specifico abbiano determinato lo stress lamentato dal soggetto (la situazione personale o le condizioni di lavoro?)”.
Infine l’intervento che vi invitiamo a visionare integralmente, si sofferma anche sulla “concreta determinazione del danno risarcibile al lavoratore che lamenti una situazione di stress lavoro-correlato non adeguatamente ‘gestita’ dal datore di lavoro. Se, infatti, da un lato è chiaro che, laddove la situazione di stress lavorativo abbia determinato uno stato di malattia (tra cui ovviamente vanno annoverate anche quelle di carattere psichico) o un infortunio, il datore di lavoro sarà chiamato a risarcire il danno patrimoniale e non patrimoniale conseguenza dello stesso, si tratta dall’altro lato di considerare anche i termini della risarcibilità dello stress ‘in sé considerato’, dunque come danno autonomo, svincolato da eventuali conseguenze di tipo patologico”.
È evidente la “difficoltà di distinguere tra la ricorrenza di una vera e propria patologia e la presenza di ‘sintomi’ (quali – ad esempio – tachicardia, ansia ecc.) che, magari non traducendosi in vere e proprie malattie, possono però indubbiamente creare, considerati nel loro complesso, quantomeno una situazione di disagio per il soggetto che ne è affetto, situazione che meriterebbe, almeno nei casi più gravi, una qualche forma di ristoro [2]”.
E diventa dunque sempre più delicato ed importante in questi casi “il ruolo della consulenza tecnica psicologica, quale supporto all’attività di accertamento del giudice del lavoro”.
NOTE
[1] A. VALLEBONA, La responsabilità per lo stress lavoro-correlato
[2] M.C. CATAUDELLA, Lavorare stanca
Fonte: Punto Sicuro