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Soggettività e modelli partecipati di valutazione dei rischi

articolo di Paolo Gentile
Ergonomo, sociologo del lavoro e dell’organizzazione, editor del sito www.rs-ergonomia.com


Perchè occuparci di soggettività nella valutazione dei rischi?

Abbiamo fin qui descritto uno scenario:

Il lavoro sta subendo notevoli cambiamenti nelle forme organizzative, cambiamenti che non sono solo conseguenza dell’introduzione di nuove tecnologie, anzi la principale causa di mutamento avviene per adesione a modelli comportamentali, scelte economiche, politiche ed etiche che si vanno affermando nella società.

Se cambia il lavoro deve cambiare il modo di tutelare il lavoro, devono cambiare i comportamenti e gli obiettivi dei lavoratori e dei loro rappresentanti. Se vogliamo guidare il cambiamento e non subirlo passivamente è necessario un patto, una scelta etica, tra i progettisti di futuro (che si disinteressano delle vittime del progresso che stanno realizzando) e i difensori delle vittime (che tendono a disinteressarsi del futuro).

L’uso dei robot per sostituire od affiancare il lavoro dell’uomo ci pone di fronte ad un dilemma: “I robot saranno i nuovi schiavi dell’umanità liberata dai lavori più faticosi, più pericolosi, più monotoni, o un esercito al servizio di nuovi poteri?”

Se vogliamo percorrere quella che abbiamo definito la via alta, il lato luminoso occorreranno nuove leggi, un nuovo patto sociale, occorrerà:

  • ripensare il sistema universale di welfare per accompagnare la redistribuzione di una risorsa scarsa come il lavoro, e garantire un intervento equilibratore dello stato, sia per il lavoro autonomo come per il lavoro dipendente, in grado di ridurre nuove disuguaglianze;
  • recuperare solidarietà e cooperazione che sono state il carburante per le conquiste sociali del novecento, possono tornare ad essere il collante, in una società scollata, per accompagnare nuovi modelli di difesa del lavoro e della produzione;
  • valorizzare la partecipazione dei lavoratori al governo delle aziende e la condivisione, è stata un’aspirazione delle classi lavoratrici del novecento per conquistare la propria emancipazione, oggi è anche (sopratutto) un bisogno delle organizzazioni che dovranno competere nel nuovo mercato globale.

Occorre incentivare e rivendicare partecipazione, valorizzare la soggettività dei lavoratori, per competere sull’innovazione e sul coinvolgimento delle risorse umane a cui dobbiamo richiedere alte competenze e riconoscere alte tutele. Agevolare la tendenza di affidare il lavoro non qualificato, più nocivo e pericoloso, più monotono e fisicamente faticoso a robot, all’uomo occorre riservare compiti di ideazione, manutenzione e controllo oltre quel residuo di lavoro produttivo non delegabile ai robot.

Un patto per gestire e controllare un ambiente di lavoro dove uomini e robot si troveranno a lavorare insieme ed interagire, realizzare un nuovo lavoratore che avrà a disposizione più tempo libero, da dedicare alla propria crescita culturale e professionale.

Quanto riusciremo a realizzare del futuro che ci attende dipenderà da come sapremo immaginare il futuro che vogliamo costruire, dagli obiettivi che perseguiremo, dalle utopie che sapremo mettere in campo e da come sapremo coniugare queste utopie con l’essere pragmatici.

“Tenere le dita incrociate non è una strategia”.

La formazione-valutazione un modello di intervento partecipato

Negli anni Sessanta e Settanta l’Italia è stato il Paese che ha avuto la stagione più ricca di lotte sindacali e di sostegno popolare, ma anche di mobilitazione dei sindacati, per garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori, con la parola d’ordine: la salute non si vende… (Alhaique D., 2006).

Negli anni ’80 l’attenzione all’ambiente e all’organizzazione del lavoro lascerà spazio a nuovi problemi quali la crisi dell’unità sindacale, la ristrutturazione e l’automazione industriale con i suoi problemi occupazionali.

Dovranno arrivare, a partire dagli anni ’90, nuove norme legislative (Le Direttive Europee in materia di sicurezza ed igiene del lavoro recepite nel D.Lgs. 626/94) a porre nuovamente all’ordine del giorno le tematiche della sicurezza sul lavoro. Ma proprio quelle norme che vorrebbero esaltare l’approccio partecipativo finiscono per emarginare i lavoratori che finiscono per delegare agli “esperti”, al legislatore, alla magistratura, la ricerca di soluzione ai problemi presenti nel luogo di lavoro.

Il decreto 626 e altri strumenti dell’UE riguardanti singole lavorazioni, rischi specifici ecc., hanno introdotto giustamente un sistema di regole per le aziende ma forse hanno fatto perdere l’anima alla lotta per la prevenzione. Per le aziende il decreto ha significato più un modo di porsi in regola, al riparo da sanzioni, anche con molti vantaggi, che non il seguire e il prevenire la condizione reale della produzione e lo stato di salute e di sicurezza delle singole persone. Queste leggi, cioè, sono valse più a prevenire i guai aziendali che non le malattie, e forse bisogna ritornare su questo strumento per renderlo più partecipativo… (Giovanni Berlinguer).

Il D.Lgs. 626/94 prima e, il D.Lgs.81/2008 hanno introdotto nella legislazione il principio che il Datore di Lavoro, in qualità di soggetto che ha l’obbligo di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori, predisponga un Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), in base al quale costruire gli interventi di prevenzione e protezione dei lavoratori. Un percorso di analisi e conoscenza che è premessa necessaria (ma non sufficiente) per qualsiasi efficace intervento si voglia realizzare in tema di Sicurezza Sul Lavoro.

Attraverso questa proposta di formazione, si vuole correggere la criticità emersa nell’esperienza degli ultimi venticinque anni, che abbiamo segnalata utilizzando le parole di Giovanni Berlinguer.

Ebbene attraverso la proposta di formazione/valutazione si vuole recuperare quell’anima smarrita. Infatti riteniamo essere uno strumento attraverso il quale dare una forma a quei diritti dei lavoratori che riguardano l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e in particolare all’art. 9 della L. 300/1970: il diritto dei lavoratori di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori.

Se vuoi capire il lavoro devi metterti nei panni dei lavoratori

La formazione e l’aggiornamento dei lavoratori e dei loro rappresentanti in materia di sicurezza sul lavoro è un obbligo per il Datore di Lavoro che, tuttavia rappresenta anche un costo e può essere assolto in modi diversi. Una maniera abbastanza comune di ottemperare a quest’obbligo è il rispetto formale di quanto prescritto (argomenti da affrontare, durata della formazione, numero massimo dei partecipanti, documenti da compilare e conservare, ecc.) senza preoccuparsi dell’efficacia della formazione, ovvero avendo come unico obiettivo quello del “sostenere un costo per poter dimostrare in caso di ispezione di aver adempiuto agli obblighi di legge”. Un modo più efficace può essere quello di utilizzare la formazione come momento di analisi e miglioramento della propria organizzazione: in questo caso l’atteggiamento sarà

investire, coinvolgere i lavoratori per conoscere il loro punto di vista su come migliorare le performance.

Quella che qui viene proposta è una metodologia che mira a realizzare la valutazione del rischio attraverso e per mezzo della formazione, recuperando i principi dell’action research formulati fin dal 1945 da Kurt Lewin: l’obiettivo del formatore-ricercatore, in questo caso, non è semplicemente quello di garantire un percorso di apprendimento, ma di utilizzarlo per esplorare un tema e pervenire ad una diagnosi condivisa. Questo attraverso il trasferimento di contenuti alle persone in formazione, al fine di costruire le premesse per modificare una situazione attraverso le conoscenze acquisite con la ricerca e l’analisi effettuata durante l’attività formativa.

Atticus Finch, avvocato di Maycomb in Alabama, protagonista del film Il buio oltre la siepe, tratto dal romanzo di Harper Lee, insegna ai suoi figli

(…) Se vuoi capire una persona, devi cercare di considerare le cose dal suo punto di vista (…) devi provare a metterti nei suoi panni e riflettere.

Quell’Atticus magistralmente interpretato da Gregory Peck ci proponeva, dunque, il gioco dei ruoli e dell’ascolto: ciò significa che le opinioni degli altri possono essere diverse dalle nostre,

Hanno il diritto di pensarle e hanno il diritto di far rispettare le loro opinioni,

prosegue Atticus,

ma prima di vivere con gli altri, bisogna che viva con me stesso: la coscienza è l’unica cosa che non debba conformarsi al volere della maggioranza.

Tornando al nostro ambito formativo, il “docente/ricercatore” seguendo il pensiero espresso da Atticus, per comprendere il lavoro, deve considerare il punto di vista dei lavoratori, provare a mettersi nei loro panni, raccogliere informazioni, che elaborerà secondo i suoi paradigmi e proponendo le sue soluzioni. Dunque non è un raccoglitore passivo di pareri altrui, ma uno scienziato che utilizza i dati raccolti per spiegare la realtà e modificarla.

Continua.


Bibliografia

Diego Alhaique, Il riscatto del lavoro, (intervista a Giovanni Berlinguer), su  “Il mese”, inserto di Rassegna sindacale luglio 2006

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