Si può licenziare un RSPP per “contenere i costi gestionali”?

A Ottobre la Corte di Appello di Messina, Sez. Lav., con sentenza n. 1117 si è pronunciata sul tema del licenziamento dell’RSPP, e in particolare sul collegamento tra la norma – introdotta dalla L. 98/2013 attuativa del Decreto Fare – che prevede l’organizzazione “prioritariamente” interna del Servizio di Prevenzione e l’illegittimità del licenziamento dell’RSPP finalizzata a “contenere i costi gestionali” nell’ambito di un licenziamento collettivo.

La posizione della Corte parte dal presupposto che il ruolo del RSPP

possa quindi essere esternalizzato solo se le competenze nell’impresa e/o nello stabilimento sono insufficienti per organizzare dette attività di protezione e prevenzione (cosi l’art.7 della Direttiva CEE 12 giugno 1989 n. 89/391/CEE).

La vicenda trova la sua origine nell’impugnativa del licenziamento del RSPP all’interno di una procedura di licenziamento collettivo. Contestazione che definiva illegittima la decisione aziendale, sia per ragioni attinenti alla regolarità della procedura, sia per la mancata inclusione dei dirigenti nel novero del personale da licenziare. Inoltre, e qui l’elemento chiave, veniva contestato nel ricorso un ulteriore causa di illegittimità ”per violazione dell’art. 31 D.Lgs. 81/2008, giacché con la riduzione del personale veniva soppressa la funzione da lui svolta fino a quel momento, nonostante la normativa imponesse di ricorrere a personale interno per il servizio di prevenzione e protezione”.

La società rilevava che

la procedura si era svolta regolarmente, che era stato risolto il rapporto anche con sei dirigenti, e quanto alla violazione del D.Lgs. 81/2008, che la normativa in questione poneva l’obbligo di nominare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione all’interno solo nei casi specificati, tra i quali non erano comprese le strutture alberghiere, sicché risultava legittima la soppressione della posizione di Responsabile Sicurezza e Manutenzione.

All’esito della fase sommaria, il giudice del lavoro con ordinanza dichiarava illegittimo il licenziamento ritenendo che si configurasse la violazione dei criteri di scelta ex art. 5 L. 223/1991 in quanto non poteva essere soppressa la posizione lavorativa di responsabile del servizio prevenzione e protezione. Ne ordinava, quindi, la reintegrazione con condanna al risarcimento del danno commisurato all’ultima retribuzione globale di fatto dal licenziamento fino alla effettiva reintegra.

La normativa a cui si appoggia la sentenza è la L. 23 luglio 1991 n. 223 recante “Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro” (G.U. n. 175 del 27 luglio 1991), il cui titolo I contiene “Norme in materia di integrazione salariale e di eccedenze del personale” e il cui articolo 5 è dedicato ai “Criteri di scelta dei lavoratori ed oneri a carico delle imprese”).

La società a sua volta faceva opposizione motivandola tra l’altro con “la erroneità dell’assunto sulla insopprimibilità del ruolo di responsabile del servizio prevenzione e protezione”.

La sentenza della Corte d’Appello dà ragione all’RSPP.

Nella motivazione si legge che

la controversia sulla legittimità del licenziamento intimato al [RSPP] si accentra sulla possibilità per il datore di lavoro di sopprimere la posizione del lavoratore per contenere i costi gestionali, nonostante la posizione lavorativa di responsabile del servizio prevenzione e protezione, a cui questi era addetto.

Questo secondo pronunciamento si basa su

la lettura dell’art 31 del D.Lgs. 81/2008 (nel testo risultante dalla modifica introdotta con l’art 32, comma 1 lett b-bis) DL 21 giugno 2013 n. 69 conv. L. 9 agosto 2013 n. 98), la quale conduce alla conclusione che il servizio di prevenzione e protezione deve essere interno all’azienda e possa quindi essere esternalizzato solo se le competenze nell’impresa e/o nello stabilimento sono insufficienti per organizzare dette attività di protezione e prevenzione” (cosi l’art.7 della Direttiva CEE 12 giugno 1989 n. 89/391/CEE). E prosegue ribadendo che “la norma riportata in effetti stabilisce che il servizio deve essere organizzato dal datore di lavoro “prioritariamente” all’interno dell’azienda, utilizzando cioè personale interno e tale obbligo è rafforzato dalla previsione che gli addetti devono possedere i requisiti professionali stabiliti e che nell’ipotesi di utilizzo di un servizio interno il datore di lavoro potrà avvalersi di persone esterne all’azienda per integrare, ove occorra, l’azione di prevenzione e protezione del servizio.

Infine conclude con

È pertanto evidente il carattere subordinato del ricorso a competenze esterne all’azienda, nonché la possibilità di ricorrere a queste solo in caso di insufficienza all’interno della struttura… Non può quindi che ritenersi assolutamente illegittimo il comportamento della società, la quale ha proceduto al licenziamento dell’unico lavoratore che svolgeva la indicata funzione provvedendo, secondo l’assunto addotto a motivazione del recesso, ad esternalizzare il servizio nonostante fosse presente in azienda un lavoratore dotato delle competenze richieste, il quale svolgeva fino a quel momento proprio tali funzioni.

La società è stata così condannata

alla reintegrazione e al pagamento dell’indennità risarcitoria.

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