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Lavoratore “volontario” e sicurezza sul lavoro

L’art. 2 comma 1 lettera a) del D.Lgs. n. 81/2008 definisce il lavoratore quale persona che indipendentemente dalla tipologia di contratto lavorativo

svolge una attività lavorativa nell’ambito della organizzazione del datore di lavoro

fornendo una definizione più ampia di quella derivata dall’applicazione delle precedenti norme di sicurezza sul lavoro come nel D.P.R. n. 547/1955 nel quale si faceva riferimento esclusivamente al “lavoratore subordinato”. Quello che conta, ha infatti precisato la suprema Corte, ai fini dell’applicazione delle norme di sicurezza sul lavoro è che il lavoratore svolga effettivamente mansioni lavorative tipiche dell’impresa e caratteristiche del lavoratore dipendente utilizzando attrezzature fornite dall’imprenditore.

Recentemente tutto ciò è stato ribadito da una sentenza della Cassazione in occasione di una vicenda di un lavoratore in un cantiere che operava senza aver prima effettuato l’accertamento sanitario preventivo attestante la sua idoneità alla mansione svolta, e senza aver ricevuto, prima dell’inizio dei lavori, una formazione adeguata e sufficiente in materia di sicurezza del lavoro e infine  e senza essere stato informato sui rischi specifici correlati all’uso di sostanze pericolose e sulle misure di protezione e prevenzione da adottare (tenendo presente anche le sue conoscenze linguistiche).

Il Datore di Lavoro obiettava, in modo che potremmo definire sfrontato, che il lavoratore non era un dipendente, ma una persona che  si era solo sentito in dovere morale di aiutarlo dopo che lo stesso Datore di Lavoro lo aveva condotto in cantiere nella prospettiva (poi non attuata) di coinvolgerlo nei lavori. La sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, secondo lo stesso, era stata irragionevolmente desunta dal fatto che il lavoratore era impegnato in una attività (la rimozione di calcinacci) non indicative della subordinazione e che poteva essere effettuata anche da un artigiano edile. Il lavoratore, secondo il ricorrente, aveva operato in maniera del tutto autonoma e la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato era stato inoltre contraddetta dal fatto che dopo l’accesso degli ispettori il lavoratore stesso non era stato più trovato nel cantiere.

La suprema Corte ha fatto presente in merito che nel corso dell’accesso ispettivo effettuato dai Carabinieri dell’Ispettorato del Lavoro presso il cantiere edile dell’imputato gli stessi avevano riscontrato che il lavoratore non stava utilizzando mezzi o strumenti di lavoro propri e non era intestatario di veicoli propri normalmente necessari per lo svolgimento dei lavori edili. Lo stesso aveva dichiarato che la sua presenza era dovuta al fatto che aveva pensato di coinvolgerlo nei lavori e che tuttavia, siccome si era deciso che non si poteva far nulla perché svolgeva solo “lavori da fabbro” e poiché l’amministratore del condominio aveva chiesto di liberare subito l’area dai calcinacci, il lavoratore stesso era stato momentaneamente coinvolto in tale attività. L’amministratore del condominio però, sentito dalla PG, aveva negato di aver mai chiesto all’imputato di liberare il cantiere dai calcinacci.

La Corte di Cassazione ha ricordato che già prima della entrata in vigore del D.Lgs. 81/2008, la stessa aveva affermato il principio che ai fini della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, un rapporto di lavoro subordinato deve essere considerato tale in riferimento all’assenza di autonomia del lavoratore nella prestazione dell’attività lavorativa e non già in relazione alla qualifica formale assunta dal medesimo (Sez. 4, n. 12348 del 29/01/2008, Giorgi, Rv. 239251). E che sono considerati lavoratori subordinati tutti coloro che, indipendentemente dalla continuità e dall’onerosità del rapporto, prestano la loro attività fuori del proprio domicilio alle dipendenze e sotto la direzione altrui (Sez. 4, n. 267 del 28/06/1988, Anorini, Rv. 180135), anche se l’attività è prestata a mero titolo di favore (Sez. 4, n. 2232 del 27/11/1981, Colapinto, Rv. 152593).

La definizione di ‘lavoratore’ fornita dall’art. 2, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 81 del 2008,

ha così proseguito la sez. III,

fa leva sullo svolgimento dell’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione del datore di lavoro indipendentemente dalla tipologia contrattuale ed è definizione più ampia di quelle che l’hanno preceduta, che facevano riferimento, invece, al ‘lavoratore subordinato’ (art. 3, d.P.R. n. 547 del 1955) e alla ‘persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro’ (art. 2, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 626 del 1994).

Sicché, secondo la Corte suprema, a prescindere dal fatto che un “lavoratore” possa essere titolare o meno di un’impresa artigiana ovvero essere un lavoratore autonomo, quel che conta, ai fini dell’applicazione delle norme di sicurezza sul lavoro, è che egli oggettivamente svolga mansioni lavorative tipiche dell’impresa (non importa se a titolo di favore) nel luogo di lavoro deputato e su richiesta dell’imprenditore. Per cui, facendo riferimento al caso in esame, stabilire se il lavoratore fosse un lavoratore autonomo o dipendente non ha rilevanza; quel che rileva invece è che egli sia stato impiegato nei lavori d’impresa esercitando mansioni tipiche del lavoratore dipendente e con strumenti messi a disposizione dell’imprenditore, nel cantiere ove operava l’impresa stessa.

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