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Il lavoratore e la sua tutela

tutela del lavoratore

Spesso si registra un divario tra la cultura, ormai neanche più definibile nuova, presente nella legislazione di origine europea in tema di salute e sicurezza, e quella propria degli attori aziendali.

Facciamo un esempio molto significativo: quello del ruolo dei lavoratori. Fino agli anni ’80 del secolo scorso il principio di fondo che muoveva la Legge era quello prescritto nell’articolo 2087 del codice civile.

L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

L’articolo, scritto nel 1942, indica chi è “tenuto ad adottare” le misure al fine di tutelare la persona del lavoratore. La tutela, va ricordato, è l’attività di chi “esercita una funzione protettiva o difensiva”. In sostanza era il datore di Lavoro che pensava a come proteggere il lavoratore. Più tardi lo Statuto dei Lavoratori nel 1970, e soprattutto la Riforma Sanitaria del 1978 misero in campo la partecipazione delle organizzazioni sindacali. La tutela del lavoratore è rimasta però per tutto questo tempo, cioè fino al 1994, sostanzialmente un compito dell’imprenditore qualche volta contestata, a volte accolta a volte subita. Ma era lui il deus ex-machina.

Dal Settembre del 1994, data del recepimento dell’Accordo quadro europeo, la situazione è completamente cambiata.
È finita l’era della tutela ed è iniziata quella della partecipazione. Sono il Datore di lavoro e il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (Rls), figura di rappresentanza nuovissima e soprattutto obbligatoria in ogni azienda, a decidere insieme con l’aiuto tecnico del Responsabile del Servizio di prevenzione e Protezione (RSPP)  e del Medico Competente.

Il vero salto di qualità viene però operato dall’introduzione dell’art.20: Obblighi dei lavoratori.
Sì, perché i lavoratori operano per il tramite del proprio Rappresentante, ma non lo delegano. Sono a tutti gli effetti partecipi del processo di prevenzione in quanto “conformemente alla formazione, alle istruzione e ai mezzi ricevuti” si  devono prendere cura di loro stessi e di tutti coloro che ricadono nel loro raggio di azione. L’articolo poi elenca tutta una serie di attività che devono svolgere senza attendere ordini da parte di nessuno  e che non possono essere disattese pena l’incorrere in pesanti sanzioni non solo monetarie. Nella sostanza, nell’ambito del  quadro normativo vigente e delle indicazioni stabilite nel Dvr, l’insieme dei lavoratori si autotutelano. Potremmo riassumere il nuovo corso in “da tutelati a protagonisti”.

Dal 1994 sono trascorsi ormai 25 anni. Un quarto di secolo e a stare anche alla lettura delle sentenze emesse sembra che questa collaborazione, lo spirito partecipativo che la sottende, non siano ancora prassi comune. Non sempre fanno parte della “normalità” di comportamento.

Una recente sentenza della Cassazione Civile, Sez. Lav., 7 gennaio 2019 n. 138 è illuminante. Abbiamo detto che il ruolo dei singoli lavoratori e la loro correlativa responsabilità sono proporzionati al quanta “adeguata” formazione hanno ricevuto. L’adeguatezza, concetto generico, è però in linea generale iscritta nei diversi accordi, oltre la normativa, raggiunti tra lo Stato e le Regioni. Tali accordi hanno fissato le ore e i contenuti di questa formazione obbligatoria e sanzionata sia se il Datore di Lavoro non se ne preoccupa che se il lavoratore non vi partecipa.

Cosa dice dunque la sentenza? Che è giustificato il licenziamento del lavoratore se questo non si sia presentato senza giustificazione alla formazione. Licenziato. Nel caso in specie il lavoratore aveva già subito due segnalazioni dall’azienda. La sentenza infatti precisa che vi è stata

l’ipotesi di una reiterazione specifica, come precisato nella lettera di licenziamento, per assenza ingiustificata, con riferimento a due anteriori episodi, avvenuti nei due anni precedenti, in relazione ai quali erano state comminate due sospensioni dal lavoro.

E che quindi il lavoratore, mancando consapevolmente l’obbligatoria partecipazione alla formazione in materia di sicurezza sul lavoro organizzato dall’azienda abbia  conseguito

una grave violazione degli obblighi di diligenza e di fedeltà ovvero delle regole di correttezza e di buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., tale da ledere in via definitiva il vincolo fiduciario e di rendere proporzionata la sanzione irrogata.

Insomma il principio, ancora una volta ribadito è che a maggiori diritti corrispondano maggiori doveri.

La partecipazione consapevole, sostituendo il regime di  tutela unilaterale, comporta l’obbligo di formarsi, di contribuire, di vigilare in una parola di collaborare attivamente al raggiungimento di standard sempre più elevati di salute e sicurezza. E questa è la normalità aziendale che viene costruita con il contributo di tutti nessuno escluso.

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