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Cassazione Penale, Sez. 4, 10 agosto 2015, n. 34701

La Corte di Cassazione ha affermato la responsabilità penale dell’amministratore unico della società per omicidio colposo nel caso di morte del lavoratore che, seppure in qualità di lavoratore autonomo, svolgeva i lavori su commissione.
L’amministratore unico di una s.n.c. è stato ritenuto colpevole dal Tribunale e dalla Corte d’Appello del reato di cui all’art. 589, commi 1 e 2, c.p., ai danni di un lavoratore, il quale stava svolgendo lavori di rifacimento di un tetto su committenza della società di cui l’imputato era, appunto, amministratore unico. 
La Cassazione ha confermato il giudizio della Corte territoriale: il committente mantiene il ruolo di garante sui lavori commissionati. Essi devono essere svolti in sicurezza, e lo stato dei luoghi e dei mezzi utilizzati deve essere appropriati. Se il committente non si assicura che siano approntati i necessari presidi di sicurezza e che i luoghi di intervento siano idonei allo svolgimento dei lavori, la sua responsabilità non potrà essere esclusa (a maggior ragione laddove non si sia avvalso di un responsabile dei lavori).
Il committente, quale soggetto che concepisce, programma, progetta e finanzia un’opera, è titolare “ex lege” di una posizione di garanzia che integra ed interagisce con quella di altre figure di garanti legali (datori di lavoro, dirigenti, preposti ecc.). Egli ha altresì la possibilità di designare un responsabile dei lavori, con un incarico rilasciato formalmente e accompagnato dal conferimento di poteri decisori, gestionali e di spesa, che gli consenta di essere esonerato dalle responsabilità, entro i limiti dell’incarico conferito, e ferma restando la sua piena responsabilità per la redazione del piano di sicurezza, del fascicolo di protezione dai rischi, nonché per la vigilanza sul coordinatore in ordine allo svolgimento dell’incarico e al controllo delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza.
La Corte ha richiamato un consolidato orientamento secondo cui la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti a osservarne le disposizioni,non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l’esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l’evento morte (o lesioni) del lavoratore può essere esclusa unicamente qualora sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio tale abnormità (che per la sua stranezza ed imprevidibilità si ponga al di fuori delle possibilità di controllo dei garanti) abbia causato l’evento.


 

Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE
Data Udienza: 20/05/2015

Fatto

1. La Corte d’Appello di Caltanissetta, con sentenza dell’1/4/2014, confermò quella emessa da Tribunale della stessa città il 28/11/2012, con la quale B.S., giudicato colpevole del delitto di cui all’art. 589, commi 1 e 2, cod. pen., ai danni di M.C., era stato condannato alla pena stimata di giustizia.
In particolare si rimproverava al B.S., quale amministratore unico della s.n.c. 5B Alimentari, la quale aveva avviato lavori di manutenzione di un capannone, al fine di eliminare le infiltrazioni d’umidità passanti attraverso la copertura, costituita da lastre di fibrocemento, avvalendosi per la stesura di un manto di malta di rinforzo, fra gli altri, della collaborazione del M.C., quale autonomo lavoratore, venuto a morte a cagione delle lesioni riportate cadendo al suolo dal predetto tetto, che non ne aveva sorretto il peso, di avere omesso di predisporre le necessarie protezioni, al fine d’impedire il verificarsi d’infortuni; di avere omesso di designare il coordinatore per l’esecuzione e di predisporre il piano di sicurezza e coordinamento; di avere omesso di fornire alla vittima dettagliate informazioni sui rischi specifici derivanti dall’ambiente di lavoro.
2. Contro la sentenza della Corte nissena il B.S. propone ricorso per cassazione corredato da due motivi di censura.
2.1. Con il primo motivo, denunziante violazione di legge e vizio motivazionale in questa sede rilevabile, il ricorrente sostiene l’erroneità della sentenza di condanna sotto più profili: a) egli non era committente del M.C., il quale era stato incaricato dalla I. Gruppi s.p.a., alla quale l’imputato si era rivolto per avere la fornitura del calcestruzzo; b) non si era in alcun modo ingerito nei lavori, né, tantomeno aveva dato direttive ed anzi al momento dell’evento era assente; c) il fatto era da addebitarsi alla condotta abnorme della vittima; d) la sentenza non aveva motivato sulle conseguenze del mancato rispetto dell’obbligo, ricadente sui lavoratori, di rispettare le norme poste a tutela della sicurezza.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’assoluta mancanza di motivazione in ordine alle rivendicate attenuanti generiche e all’entità della pena.

Diritto

3. Il primo motivo è destituito di giuridico fondamento,
3.1. Questi gli assunti salienti ai quali è giunta la Corte territoriale, facendo ragionato uso del potere motivazionale, sulla base delle emergenze istruttorie, incensurabilmente valutate.
Il committente, pur assumendo un ruolo suo specifico, non è esonerato dalla posizione di garante, fermo restando il concorso di colpe altrui, ove l’evento debba ricollegarsi, in tutto o in parte alla sua condotta colposa omissiva o commissiva, come quando permette lo svolgimento dei lavori in situazioni nelle quali emerga situazione di pericolo, dovuto allo stato dei luoghi e/o all’impiego di determinati mezzi, o quando si sia ingerito.
Nel caso l’imputato aveva consentito che i lavori venissero svolti da una squadra di operai (della quale faceva parte la vittima), senza previamente assicurarsi che fossero stati approntati i necessari presidi di sicurezza e senza considerare lo stato della copertura, la quale dalla svolta consulenza era emerso, oltre a non essere per sua natura calpestabile, risultava gravemente lesionato.
A questo punto l’assenza del B.S. al momento dell’infortunio deve reputarsi ininfluente, assumendo rilievo la decisiva circostanza che l’imputato aveva avviato i lavori in piena violazione delle prescrizioni normative in materia di sicurezza. Né la sua posizione di garanzia poteva venir meno senza aver fatto ricorso ad un responsabile dei lavori, munito dei necessari poteri decisori, gestionali e di spesa, fatto sempre salvo l’obbligo di redigere il piano di sicurezza per l’esecuzione ed il coordinamento, avendo coinvolto più soggetti autonomi.
A fronte del compiuto quadro sopra descritto la critica mossa dal ricorrente è vana.
Anche a voler credere che il B.S. si fosse rivolto alla I. per ottenere la fornitura e che fosse stata questa a prendere contatto ed incaricare la squadra dei lavoratori autonomi incaricati di trasportare, riversare e collocare il materiale cementizio fluido (T.A. e il M.C., quali proprietari di una betoniera, il primo, e di una pompa, il secondo, e L.P. F., quale abituale collaboratore della I.), non è dubbio che, ferma restando l’eventuale responsabilità di altri, l’imputato restava il committente finale dell’intervento.
Né, la prospettazione difensiva fa venir meno la colpa grave e certa dell’imputato nell’avere avviato lavori intrinsecamente pericolosi (la natura della copertura non poteva tollerare l’appesantimento di materiale ulteriore), senza, peraltro la garanzia di alcun presidio di sicurezza.
In definitiva, non si rinviene ragione alcuna per potersi escludere la posizione di garanzia del committente, pacificamente sussistente, in quanto soggetto che normalmente concepisce, programma, progetta e finanzia un’opera, è titolare “ex lege” di una posizione di garanzia che integra ed interagisce con quella di altre figure di garanti legali (datori di lavoro, dirigenti, preposti etc.) e può designare un responsabile dei lavori, con un incarico formalmente rilasciato accompagnato dal conferimento di poteri decisori, gestionali e di spesa, che gli consenta di essere esonerato dalle responsabilità, sia pure entro i limiti dell’incarico medesimo e fermo restando la sua piena responsabilità per la redazione del piano di sicurezza, del fascicolo di protezione dai rischi e per la vigilanza sul coordinatore in ordine allo svolgimento del suo incarico e sul controllo delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza (Cass., Sez. 4, n. 37738 del 28/5/2013, dep. 13/9/2013, Rv. 256635).
Peraltro, l’evidenza delle precauzioni mancate e del grave rischio fatto assumere fanno sì che qui non possa assumere rilievo l’esonero ritenuto nei soli casi in cui le predette precauzioni richiedano una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine (Cass., Sez. 3, n. 1228 del 25/2/2015, dep. 24/3/2015, Rv. 262757; Sez. 4, n. n. 1511 del 28/11/2013, dep. 15/01/2014, Rv. 259086).
Infine, deve, senz’altro affermarsi che nel caso in esame risulta palese che l’evento debba ritenersi causalmente collegato a plurime omissioni colpose, specificamente determinate, imputabili alla sfera di controllo dello stesso committente, col che pienamente si giustifica l’estensione della responsabilità dell’eventuale appaltante (la cui esistenza è rimasta peraltro non accertata) (si veda per una ben diversa situazione nella quale l’estensione non ricorre, Cass., Sez. 4, n. 6784 del 23/1/2014, dep. 12/2/2014, Rv. 259286), assumendo solo il senso di un mero esercizio di retorica sterile pretendere di essere liberato perché coloro che lui avrebbe dovuto garantire, non avevano preteso l’applicazione delle garanzie.
3.2. Quanto alla denunciata natura abnorme della condotta della vittima va osservato che la Corte di merito non cade nel denunziato vizio.
La ratio del discrimine è la stessa: poiché il garante deve assicurare il bene dell’integrità fisica e della vita del garantito, il quale da solo, per una pluralità di ragioni non sarebbe in grado di pienamente tutelarsi, il concorso (invero frequente) della colpa di quest’ultima o di altro soggetto, la cui attività o anche sola presenza risulta legittimamente inserita nel processo lavorativo, non elide affatto la penale responsabilità dei primi. Salvo l’emergere di condotte che per la loro anomalia, bizzarria o abnormità non erano tali da indurre il garante ad una precipua preventiva percezione del rischio.
La razionale ricostruzione del fatto operata dal giudice dell’appello rende evidente la macroscopica infondatezza della pretesa dei ricorrenti. Non è dato in alcun modo cogliere in cosa sia consistita la bizzarria comportamentale, l’anomala ed imprevedibile condotta del lavoratore, il quale, dovendo manovrare con un comando a distanza la pompa, onde consentire soddisfacente distribuzione del materiale fluido, gli si fosse reso necessario, o anche solo utile, o apparentemente tale, condurre tale operazione dalla copertura.
Anche se può assumersi come possibile che all’evento possa aver concorso una manovra erronea del predetto lavoratore autonomo deve escludersi, secondo la logica comune, che nel caso in esame una tale manovra possa considerarsi avulsa dalle mansioni svolte, abnorme e, pertanto, imprevedibile da parte del soggetto tenuto alla garanzia. Esattamente al contrario dell’assunto trattasi, invece, di un tragico evento occorso nell’esercizio e a causa dello svolgimento dell’attività lavorativa, come tale del tutto prevedibile e prevenibile dai garanti.
Può sul punto richiamarsi, fra le ultime, la sentenza di questa Sezione del 28/4/2011, n. 23292, in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità (tra le tante, v. Sez. IV, 12/5/2011, n. 35204; Sez. IV, 10 novembre 2009, n. 7267; Sez. IV, 17 febbraio 2009, n. 15009; Sez. IV, 23 maggio 2007, n. 25532; Sez. IV, 19 aprile 2007, n. 25502; Sez. IV, 23 marzo 2007, n. 21587; Sez. IV, 29 settembre 2005, n. 47146; Sez. IV, 23 giugno 2005, n. 38850; Sez. IV, 3 giugno 2004), la quale ha precisato che la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti a osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l’esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l’evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento; abnormità che, per la sua stranezza e imprevedibilità si ponga ai di fuori delle possibilità di controllo dei garanti.
Più in generale, è bene ribadire che la Cassazione ha già avuto condivisamente modo di affermare che <<in materia di normativa antinfortunistica, l’obbligo del datore di lavoro [ma, qui, per che prima si è detto, anche del committente] di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro si estende anche ai soggetti che, nell’impresa, hanno prestato la loro opera in via autonoma (v. di recente, Sezione 4^, 25 maggio 2007-3 ottobre 2007, Sfoggia). Se è indiscutibile, infatti, che il lavoratore autonomo ha l’obbligo di munirsi dei presidi antinfortunistici connessi all’attività autonomamente prestata, è altrettanto indiscutibile che sono a carico del datore di lavoro, che si avvale di un lavoratore della prestazione autonoma, da un lato, l’obbligo di garantire le condizioni di sicurezza dell’ambiente di lavoro ove detta opera viene prestata, e, dall’altro, quello di fornire attrezzature adeguate e rispondenti alla vigente normativa di sicurezza nonché di informare il prestatore d’opera dei rischi specifici esistenti sul luogo di lavoro (v. D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt 4 e ss.;D.Lgs. 19 settembre 1994, n.626; art.2087 cc). È di decisivo rilievo, in particolare, il disposto dell’art. 2087 cc, in forza del quale, il datore di lavoro, anche al di là delle disposizioni specifiche, è comunque costituito garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale di quanti prestano la loro opera nell’impresa, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all’obbligo di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall’art.40 cp.,comma 2. Tale obbligo è di così ampia portata che non può distinguersi, al riguardo, che si tratti di un lavoratore subordinato, di un soggetto a questi equiparato (cfr. D.P.R. n. 547 del 1955, art. 3, comma 2) o, anche, di persona estranea all’ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale tra l’infortunio e la violazione della disciplina sugli obblighi di sicurezza. Infatti, secondo assunto pacifico e condivisibile, le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori possano subire danni nell’esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono là dove vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi. Ciò, tra l’altro, dovendolo desumere dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5, lett. n), che, ponendo la regola di condotta in forza della quale il datore di lavoro “prende appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l’ambiente esterno”, dimostra che le disposizioni prevenzionali sono da considerare emanate nell’interesse di tutti, anche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell’impresa (cfr. Sezione 4^, 20 aprile 2005, Stasi ed altro)>> (Cass.; Sez. IV, n. 13917 del 17/1/2008, Rv. 239590).
4. Il secondo motivo è fondato.
Con l’atto di appello l’imputato aveva invocato il riconoscimento delle attenuanti generiche e la riduzione della pena.
Non rinvenendosi sul punto motivazione non resta che annullare la sentenza impugnata in parte qua. Nel resto la statuizione diviene, pertanto, irrevocabile.

P.Q.M.

Annulla la impugnata sentenza limitatamente alle statuizioni che fissano il trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo esame sul punto alla Corte di Appello di Caltanissetta. Fermo il resto.
Così deciso in Roma il 20/5/2015.

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