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Telelavoro e smart work al servizio dell’azienda e della persona

Fonte: PdE, Rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente
articolo di Pietro Iacono Quarantino e Antonio Zuliani


Fino agli anni ‘90 del secolo scorso l’organizzazione del lavoro non poteva prescindere dalla necessità di pianificare i tempi e i luoghi di svolgimento delle attività dei lavoratori.

La fabbrica o l’ufficio erano il luogo in cui il lavoro veniva svolto. I lavoratori dovevano subordinare il loro tempo di vita privata ai tempi di lavoro previsti dall’organizzazione aziendale: orari, ritmi, ferie, permessi dovevano essere compatibili con il funzionamento della macchina organizzativa.

Dagli anni ‘90 in poi, l’evoluzione delle tecnologie informatiche e della comunicazione ha reso possibile pensare di superare questa rigidità. La diffusione della rete internet, sia in contesti aziendali sia in quelli privati, e la smaterializzazione delle attività lavorative intellettuali hanno fatto sì che in quegli anni si potesse iniziare a parlare di lavoro a distanza.

Il lavoro a distanza – o telelavoro – nasce quindi in sostituzione del lavoro d’ufficio per quelle mansioni che, grazie alla tecnologia, potevano essere svolte in un luogo altro rispetto alla sede aziendale: da casa, con una postazione attrezzata dall’azienda, o da centri remoti, come nel caso dei call center.

Rispetto alle aspettative degli innovatori più entusiasti, le prime sperimentazioni del telelavoro in Italia hanno avuto effetti modesti, a causa di alcune limitazioni, quali:

  • il vincolo, già citato, della postazione fissa;
  • la scarsa integrazione con l’organizzazione aziendale;
  • la finalità di risolvere alcuni problemi specifici dei lavoratori, come disabilità, chiusura di sedi, trasferimenti o, nel caso delle sperimentazioni rivolte principalmente alle lavoratrici, un miglior equilibrio tra tempi di lavoro e di vita privata, sulla base dello stereotipo di genere per cui per le donne sia prioritario conciliare le attività lavorative con quelle di cura della casa e della famiglia;
  • una certa diffidenza da parte di una generazione di lavoratori per i quali il lavoro era radicato nell’ambiente sociale dell’ufficio.

L’ulteriore evoluzione della tecnologia, la diffusione dei social network, di piattaforme per la condivisione di documenti e il lavoro collaborativo, l’entrata nel mercato del lavoro di una nuova generazione di lavoratori cresciuta con tali tecnologie e adusa alla complessità e alla liquidità della società attuale hanno determinato la nascita di una nuova forma di lavoro a distanza, il lavoro agile o smart work.

Rispetto al telelavoro, lo smart work è caratterizzato da ancora più flessibilità e autonomia da parte del lavoratore per quanto riguarda i tempi e i luoghi e, in generale, l’organizzazione del proprio lavoro.

Non vi è più il vincolo di una postazione fissa: lo smart worker può lavorare in azienda, ma anche a casa propria, al bar, in un parco o in qualunque altro luogo in cui sia possibile utilizzare un computer, un tablet o uno smartphone e sia disponibile una connessione a banda larga.

Anche l’allestimento della postazione non è più necessariamente a carico dell’azienda, potendo essere adottata una modalità in cui il lavoratore utilizza i propri dispositivi (BYOD, Bring Your Own Device).

L’adozione di una modalità di lavoro agile, sganciata da un luogo fisico dedicato al lavoro e con un orario autodeterminato dal lavoratore stesso comporta anche un cambiamento di cultura aziendale e l’introduzione di forme di controllo e valutazione dei lavoratori basate non più sulle ore lavorate ma sui risultati raggiungi dal lavoratore.

A maggio del 2017 il Parlamento ha approvato il DDL Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato con il quale viene fornito un quadro normativo di riferimento adeguato alle tendenze in atto nel mondo del lavoro e nei contesti aziendali, per garantire una disciplina minima dello smart work.

Lo smart work viene definito non come modalità contrattuale, ma come una modalità flessibile di esecuzione del lavoro subordinato le cui modalità devono essere concordate in forma scritta tra lavoratore e azienda.

Il lavoratore può svolgere le proprie attività sia all’interno sia all’esterno dell’azienda, senza che sia stabilito un luogo specifico ed entro i limiti dell’orario di lavoro giornaliero stabiliti dalla legge e dalla contrattazione collettiva e rispettando il diritto alla disconnessione al di fuori di questo orario.

I mezzi tecnologici possono essere di proprietà del lavoratore o messi a disposizione dall’azienda, che in tal caso è responsabile del loro funzionamento e della loro sicurezza.

Allo smart worker deve essere garantita la stessa retribuzione e contribuzione dei colleghi che svolgono le stesse mansioni e la tutela della sicurezza (anche per quanto riguarda eventuali infortuni in itinere) è sempre a carico del datore di lavoro.

Alcune riflessioni

Viene da porsi una domanda: il lavoro smart fa bene alle persone? E se sì, a tutte e in ogni caso?

Proviamo a presentare alcune riflessioni in merito.

La flessibilità prevista dal telelavoro e ancora di più dallo smart work può avere delle utili ricadute nella vita delle persone nella misura in cui permette un’organizzazione per certi aspetti semplificati della gestione casa-lavoro. Pur tuttavia, occorre ricordare che tutti abbiamo un’organizzazione di personalità e che questa ha un ruolo importante nei rapporti costruiti con il mondo esterno, così come quello del lavoro. Ora, se vi sono organizzazioni di personalità che traggono grande giovamento dalla possibilità di un lavoro flessibile (così come da quella di poterlo cambiare), ve ne sono altre che invece per il benessere della persona richiedono strutture più continuative e consolidate. Queste nuove forme di lavoro, quindi, non sono per tutti la miglior soluzione possibile, anzi, possono determinare in alcuni gravi e profondi disagi. Analogamente, in questi anni stiamo assistendo alla proposizione del tutto ideologica del cambiamento continuo come strategia futura per tutti. Ebbene, gli studi della psicologia ci ricordano che realizzare a pieno una strategia sociale di questo genere arriverà a determinare grandi sofferenze e a manifestare nuove patologie psicologiche da parte di persone che hanno invece bisogno di un’organizzazione certa e stabile nel tempo.

Il fatto di lavorare in casa può avere degli indubbi benefici per molte persone, le quali in questo modo possono occuparsi di molti problemi inerenti alla sfera familiare, mantenendo una compatibilità con il lavoro. Si pensi alla sempre maggiore attività di cargiver a carico della cosiddetta “generazione sandwich”, ovvero degli adulti che hanno in carico oltre la crescita dei figli anche la cura dei propri genitori. D’altra parte se andare al lavoro rappresenta una delle poche occasioni di socializzazione, il portare tra le mura domestiche quest’attività sociale può creare sacche di isolamento sociale, spesso a carico delle donne, che rischiano di essere riportate a una situazione totalmente intrafamiliare.

La mancanza di uno stimolo a uscire di casa per recarsi in azienda o in ufficio può favorire anche aspetti depressivi legati alla trascuratezza nel vestirsi o nel lavarsi, non più sentiti come necessari per i contatti sociali lavorativi.

Lavorare in casa prevede non solo la presenza di una postazione tecnica ma anche di un’area isolata senza la quale non ci sarebbe nessuna separazione casa-lavoro. Questa separazione seppur virtuale è molto importante per i rapporti che il soggetto costruisce con i suoi familiari, specialmente se sono bambini piccoli. Un bambino piccolo che nei propri processi di costruzione della personalità ha bisogno di comprendere quali ruoli via via impersonano i suoi genitori, può trovarsi in difficoltà nel comprendere il ruolo ricoperto da quel genitore che vede sempre affianco a sé, ma per lo più occupato in altre attività e distratto e distante dalle sue richieste.

Questa considerazione apre anche la necessità di una riflessione su come vengono progettate le case e i loro arredi, affinché questo lavoro portato all’interno della casa non diventi invadente di tutte le sfere private e affettive della stessa.

Tanto più con lo smart work, i tempi del lavoro rispetto a quelli della vita privata assumono confini sempre più labili, perché la persona può essere indotta a continuare a pensare al lavoro anche nei tempi dedicati a se stesso e alla famiglia.

Il telelavoro e lo smart work prevedono l’utilizzo di mezzi informatici sempre più massicci e questo fatto chiede di superare la logica della semplice alfabetizzazione informatica, che punta all’utilizzo del mezzo, per arrivare a un’educazione informatica, che rende l’utilizzatore consapevole del mezzo utilizzato. In altri termini, il problema non sta tanto nell’avere hardware sempre più potenti, del cui funzionamento siamo sostanzialmente inconsapevoli, quanto piuttosto di padroneggiare il modello mentale (algoritmo) che lo fa funzionare.

La maggior permanenza di lavoratori presso il proprio domicilio richiede anche una riflessione sui tempi della città. Fino a ora le riflessioni si erano spinte a pensare modelli di città nei quali il lavoratore potesse trovare i servizi di cui ha bisogno (scuola per i figli, supermercati, uffici, ecc.) nel percorso casalavoro. Ora questo criterio può cambiare, e anche l’urbanistica dovrà riflettere sul modello di città futura sempre più smart.

Conclusioni

Nell’articolo abbiamo presentato lo sviluppo dal telelavoro allo smart work sottolineando sia gli aspetti positivi sia alcune criticità.

Come ogni innovazione tecnologica anche il telelavoro e lo smart work hanno potenzialmente degli aspetti positivi ma devono sempre essere centrati sull’interesse verso il benessere e lo sviluppo della persona. Per questo motivo riteniamo che il contributo delle scienze psicologiche sia di fondamentale importanza per realizzare questo obiettivo anche andando a individuare degli indicatori che permettano al datore di lavoro e al lavoratore se queste forme di lavoro sono veramente indicate per lo sviluppo dell’azienda e per il benessere del lavoratore.

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