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Prevenzione: efficacia e semplificazione

di Agostino Messineo, Claudio Prestigiacomo e Tonino Luigi Marsella


Prevenzione.
Efficacia e semplificazione: attuale scenario legislativo in Italia e sostenibilità

Nonostante diverse soluzioni e adattamenti legislativi al D.Lgs. 81/2008, esistono varie carenze nei sistemi di prevenzione. Inoltre, la disoccupazione e la crisi economica, oltre al fatto che spesso i giovani sono sacrificati in posizioni lavorative poco favorevoli, hanno portato molti a  ricercare lavoro “comunque svolto”, a scapito spesso della “sicurezza sul lavoro”.

ANALISI, MATERIALI E METODI

In diversi altri Paesi le norme di prevenzione non prevedono sanzioni penali, come invece avviene in Italia.

Le norme attuali sono calibrate sulle grandi imprese, con artigianato e PMI in difficoltà per costi e procedure e interpretazioni burocratiche poco efficaci, nonostante aspetti in progress come la lotta al problema dello stress lavoro correlato.

Le stesse norme su alcol e prevenzione delle tossicodipendenze sono ritenute obsolete e inadeguate, al punto da far predisporre nuove integrazioni normative che restano però ancora senza esito applicativo.

La richiesta di maggiore produttività impone cambiamenti normativi ed organizzativi. Da più parti si suggeriscono atteggiamenti più partecipativi rispetto al tradizionale aspetto “consultivo” che caratterizza i rapporti sociali nel Paese, ma partecipazione e fidelizzazione dei dipendenti sono obiettivi ardui, per la carenza di condizioni trasparenti e della valorizzazione del merito nell’accesso e in carriera.

Dal punto di vista dell’imprenditoria pubblica e privata, spesso si nota anche la carenza di serie politiche pubbliche, volte ad accrescere le possibilità di training, coaching e di emancipazione dalle famiglie.

Nel settore pubblico, alcune indicazioni erano state fornite in passato da una Direttiva della Funzione Pubblica che imponeva trasparenza, equità e comunicazione per la crescita non disfunzionale della corretta occupazione. Tali disposizioni, poste alla base di alcune più ampie a tutela dallo stress lavoro-correlato, non sembra siano però state attuate in modo diffuso. Le indicazioni della commissione Consultiva e dell’INAIL sulla prevenzione dello stress lavoro correlato non hanno avuto ampio e pieno riscontro in termini di efficacia nelle piccole e medie imprese, nonostante la notevole campagna di pubblicizzazione e stimolo. D’altra parte, i precetti della prevenzione non sono facilmente comprensibili all’utenza perché caratterizzati da continui rimandi che ne rendono difficile lettura e comprensione.

Nel tempo si è resa necessaria una “mediazione culturale” continua per comprendere il significato delle norme. Tale fenomeno ha offerto lavoro e a interpreti e giuristi, ma non ha  promosso del tutto l’immediata, diffusa, chiara comprensione delle disposizioni.

Ridondanti ripetizioni, obblighi certificativi, documentali e dispositivi sono stati lo spunto per un   recente (e discusso) progetto di legge che   prevede la riduzione a soli 22 degli oltre 306 articoli del D.Lgs. 81/2008,  in una ottica di approccio apparentemente  modificata rispetto alle esperienze passate, nel senso di un maggiore ruolo del medico competente rispetto alla preminente importanza oggi affidata ai settori tecnici in tema di valutazione dei rischi. È pur vero che il sistema aziendale si è evoluto e occorre la massima interdisciplinarietà. La previsione di un certo “autocontrollo” (Datore – RSPP – MC – Dirigenti – Preposti – RLS)  con funzioni tecniche spesso in non totale sinergia con altre, comporta costi, procedure, formazione continua; coesiste, specie nelle grandi aziende, un sistema “di rango superiore” (art. 30 del D.Lgs. 81/2008 – SGSL) sotto la responsabilità dell’amministratore dell’impresa, per verificare la corretta attuazione del modello precedente.

Gli Organi di Vigilanza (DPL, ASL, VVFF, ecc.) dovrebbero controllare la conformità delle misure predisposte dai due precedenti, ma l’ultimo tipo di controlli (istituzionali) hanno oggi carenza di risorse, oltre ad operare spesso in autonomia con modalità e criteri disgiunti. La prevista attività di omogeneizzazione e governance di alcune Regioni e dei Comitati di coordinamento appare del tutto parziale e futuri interventi di centralizzazione dei controlli tra le amministrazioni, se si eccettua la parte assicurativo-retributiva, sono lontani o problematici. Vi è inoltre una certa confusione per la miriade di   strutture ed organizzazioni non rappresentative e di dubbia legittimità con funzioni di partecipazione, compiti di ausiliazione, formazione, certificazione, asseverazione, al punto che  con chiarimenti regionali si cerca di determinare la riconoscibilità delle Istituzioni e con adeguamenti legislativi sono stati eliminati gli Enti bilaterali dalla formazione.

Il panorama ha luci ed ombre, pur con aspetti positivi: ad esempio il migliore orientamento interpretativo  e le pronunce della Commissione per gli Interpelli.

Trattando  dell’attualità, completezza, congruità ed efficacia di numerose norme, alcuni AA ritengono poi che la inadeguata attuazione della prevenzione dipenda più dalla mancata realizzazione delle norme vigenti o dalla carenza delle disposizioni attuative che dalla obsolescenza e farraginosità dei precetti.

Vi sono oggi rischi, oltre a quelli psicosociali, in precedenza sottovalutati (incidenti stradali in itinere, errati stili di vita). Per alcune questioni (dipendenze, abuso di  assunzione di farmaci) l’innovazione regolamentare potrebbe aver avuto qualche risultato positivo, considerato il calo dei consumi di sostanze d’abuso (riduzione della percentuale di assuntori anche per politiche antidroga  nei lavoratori, maggiori controlli stradali, informazione, ecc).

Lo scenario globale fa quindi intravedere una maggiore attenzione al profilo della percezione dei rischi lavoro-correlati, ma mostra una riduzione delle aspettative di certezze, minore stabilità, spesso forme di  minor tutela. Il costo del sistema è parte del dibattito sull’efficacia delle norme vigenti. Esso dovrebbe  essere comparato con quello annuo della “mancata prevenzione” (47-60 miliardi di euro dei quali 39 solo per far fronte agli infortuni). È dubbio che i risultati (sotto il profilo EBM e della riduzione degli infortuni  e delle malattie professionali) siano  in  linea con le attese dopo un ventennio (D.Lgs. 626/94).

L’elevata complessità del sistema è sempre oggetto di doglianze.

Così il DVR  dovrebbe essere  esplicitazione della valutazione dei rischi (e dei miglioramenti rispetto ai minimi penalmente sanzionati)   ma  datori e cd “esperti” esprimono elaborate e generiche previsioni omnicomprensive, applicabili a svariate situazioni, con ridondanza e ripetizione dei termini usati dalla legge stessa nella elencazione di obblighi. Finendo per ripetere nel DVR quello che dice la legge, riducendo fruibilità e efficacia del documento, a fronte di un più snello modello di prevenzione esistente (anche per lo stress-lc) in Europa.

La formazione non è sempre efficace e lavoratori, preposti e dirigenti non sono formati nella sicurezza nel pre-impiego, non si giovano di nessuna formazione scolastica e devono essere interamente istruiti dal datore di lavoro che, nelle piccole e medie imprese, difficilmente impone – prima dell’inizio del lavoro – conoscenza delle norme e attuazione scrupolosa di procedure  sicure. Ed anche la commissione del Senato per le indagini sugli infortuni su lavoro ha suggerito una migliore valutazione di efficacia e dei costi ed effetti delle iniziative finanziate (INAIL) in tema di prevenzione.

Comunque, nonostante recenti modifiche su “chi può fare formazione”, persistono gravi ritardi procedurali (mancanza del “libretto formativo” ex D.Lgs. 276/2003) che non consentono risparmi alle imprese che devono ripetere la formazione effettuata nell’apprendistato o in altri contesti. Di ciò – peraltro- verrà ad occuparsi nei prossimi anni la neocostituita “Agenzia Nazionale per la Sicurezza sul Lavoro”.

Non vi sono dubbi  che le politiche di prevenzione, se attuate, siano efficaci. Una recente pubblicazione sui costi medici diretti delle infezioni nosocomiali negli ospedali USA dimostra che i benefici correlati all’attuazione di una gamma di misure di prevenzione potrebbero realizzare un risparmio da 5,7-6,8 miliardi di $  a un massimo di 25-31,5 miliardi di $ (70% delle infezioni prevenibili) e le infezioni “associate all’assistenza” (HAI) possono essere ritenute significative per le politiche di prevenzione, perché portano conseguenze economiche rilevanti.

In periodi di risorse limitate la valutazione del costo e della efficacia dei programmi di prevenzione è di fondamentale importanza, e negli USA si è studiato l’effetto di alcuni programmi di “Wellness” (igiene dentale, incentivazione al dimagramento, idratazione adeguata, riposo notturno e apporto di frutta e verdura) per verificare il loro l’impatto sulla salute dei dipendenti, costo delle cure e tassi di assenteismo. Ne è derivato un risparmio economico di circa 15,6 dollari per ogni dollaro speso per l’attuazione dei  programmi. In proposito non mancano ulteriori suggerimenti, come quello di valutare il Return on Investment (ROI) ottenuto a seguito di interventi di WorkplaceHealth Promotion (WHO) o il Productivity Assessment Tool, metodo con cui l’analisi costi benefici degli interventi di prevenzione può essere eseguita con relativa facilità in un servizio di prevenzione sul luogo di lavoro, oppure negli USA le valutazioni mediante i procedimenti BASICC.

Si percepisce comunque oggi, anche a livello Europeo, la necessità di una vera semplificazione e di una maggiore efficacia in tema di sicurezza e salute sul lavoro, che dovrebbero realizzarsi senza riduzione di tutele, con più semplicità nell’approccio complessivo al problema e senza sottovalutare il crescente peso delle tecnopatie lavoro-correlate. Progresso tecnologico e ricerca tossicologica  non sono andati di pari passo, e si è costretti “a rincorrere”  rischi la cui presenza in passato non era stata adeguatamente valutata. Alcune situazioni disfunzionali sono oggetto di divulgazione (come il sovraccarico biomeccanico), altre assumono dimensioni preoccupanti per la loro diffusione (come la bronchite cronica professionale) con agenti causali professionali che si aggiungono ai fattori di inquinamento in città (l’asma bronchiale allergica correlata al lavoro concausata da inquinanti atmosferici), con inquinamento urbano che  interessa  sempre di più alcune categorie di lavoratori (netturbini, autisti, polizia municipale e addetti al traffico, ad esempio). Emergono nuovi problemi, ai quali la ricerca non ha fornito ancora  adeguate risposte (nanoparticelle, possibili pericoli ambientali ed occupazionali correlati, distruttori endocrini,  oncogeni, problemi tossicologici collegati allo smaltimento dei rifiuti).

In termini strategici e di politica sanitaria, qualunque decisione di non rafforzare, o addirittura di indebolire, il settore e le attività della prevenzione appare ingiustificata, e la letteratura scientifica internazionale e le principali istituzioni di sanità pubblica sono concordi nell’affermare che il potenziamento delle attività di prevenzione rappresentino un ottimo investimento. Ma in corso di crisi economico-finanziarie, occorre pur sempre rendere la prevenzione sostenibile evitandone sprechi.

È di comune riscontro pratico che in condizioni di deficit di risorse vengono sacrificate generalmente le spese ritenute meno necessarie e che forse sono poco “visibili” sotto il profilo del “rendimento quantitativo” delle prestazioni in un quadro di carente cultura imprenditoriale. Eppure le norme di prevenzione dovrebbero costituire  la base minimale etica per svolgere un lavoro sicuro. In un’ottica di abbassamento dei costi lo Stato, aderendo a una politica di valori e coerentemente con i postulati di sicurezza stabiliti dalla Costituzione, dovrebbe promuovere una graduale translazione dalle sovvenzioni sporadiche ad una più generale politica che consideri la defiscalizzazione di taluni interventi di sicurezza l’unico serio incentivo alla rapida diffusione delle pratiche sicure nelle aziende. Anche prevedendo l’abbandono graduale della rigida applicazione della norma penale (che comporta alti costi e difficile omegeneità di vigilanza).

L’INAIL in Italia “sovvenziona” alcune delle aziende virtuose e sta procedendo all’elaborazione di  un sistema su base algoritmica (Co&Si = costi e sicurezza) per stabilire la percezione dei costi totali legati alla salute e sicurezza che l’azienda sostiene direttamente (costo assicurativo e prevenzionale), insieme a quelli generabili per il costo infortunistico.

Si deve anche osservare, in tema di etica, che l’omissione di denuncia da parte di tutte le categorie di medici  di famiglia, ospedalieri, specialisti, di fabbrica  ha portato  varie Istituzioni a “rimediare”  attuando campagne per l’emersione  delle patologie professionali nascoste

CONCLUSIONI

Poiché gli aspetti psicosociali assumono oggi un ruolo assai rilevante  per salute e sicurezza sul lavoro, essi costituiscono un esempio di possibili interventi organizzativi migliorabili: l’offerta di flessibilità (orari e luoghi di lavoro), il favorire la partecipazione dei lavoratori al miglioramento dell’organizzazione del loro  lavoro e del loro ambiente lavorativo, il mettere a disposizione dei lavoratori opportunità di apprendimento permanente.

EU-OSHA ribadisce che un’organizzazione di successo si basa su lavoratori sani che lavorano in un ambiente favorevole e non sono poche le aziende che nel mondo, in Europa e in Italia, che hanno intrapreso la strada di migliorare il benessere e la salute dei lavoratori per aumentare la motivazione, ridurne l’assenteismo, accrescerne la produttività, con buoni risultati e successi.

Le considerazioni espresse devono tenere presente lo scenario Europeo e che la CEE sembra talvolta ondivaga nel tenere conto, da una parte, delle necessità di attenta tutela dei lavoratori, e dall’altra della pressione contraria della crisi economica con i suoi effetti recessivi. Fatto che ha portato ad ipotizzare una revisione (REFIT) e il blocco di tutte le nuove norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, per ipotesi di danneggiamento dei datori di lavoro con eccessivi e costosi “oneri amministrativi”.

Un’ampia polemica (non priva di conseguenze in tema di Brexit) è nata recentemente in Inghilterra per “l’invasività” delle Direttive Europee, volte a migliorare la sicurezza del lavoro specie in tema di posture di lavoro nel settore artigianale e dei parrucchieri. È possibile ipotizzare che un orientamento conforme a quello di molti Paesi Europei, e perciò più “flessibile” in tema di prevenzione (e anche di controllo dello stress lavoro correlato come ad es avviene in Belgio, Olanda,  Danimarca, Norvegia e Finlandia), sia più compatibile con il tessuto produttivo di PMI del nostro Paese, e, se unito a maggiori incentivi economico-fiscali, anche meno costoso e più produttivo in termini di effectiveness delle misure attuate per la tutela della salute.

2 commenti su “Prevenzione: efficacia e semplificazione”

  1. “Di ciò – peraltro- verrà ad occuparsi nei prossimi anni la neocostituita “Agenzia Nazionale per la Sicurezza sul Lavoro”.”
    Forse mi è sfuggito, ma non mi risulta che sia mai nata l’auspicata agenzia di cui si parla. Neppure dopo la pubblicazione di questo interessante articolo. A meno che non ci si riferisca all’Ispettorato nazionale del lavoro, dove faccio l’ispettore tecnico.

    1. repertoriosalute

      In effetti, al momento in cui è stato scritto l’articolo, sembrava scontato che l’Agenzia Nazionale per la Sicurezza sul Lavoro stesse per nascere, quando poi il progetto è rimasto in alto mare.

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