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Le modalità con cui viene impartita la formazione non sono giuste

La formazione è una delle prime armi, la più importante cha abbiamo, per garantire la prevenzione e il perseguimento di un più alto benessere aziendale.
Sappiamo però che, perché molti formatori e responsabili aziendali se ne accorgono quotidianamente, che invitare in un’aula lavoratori, preposti e dirigenti non sempre è facile.

Tra principi e scopi della formazione e realtà aziendale c’è un divario più o meno consistente, che dipende da molte cause. La prima che viene in mente è quella che per molto tempo la formazione è stata svolta come un mero atto dovuto, un obbligo di legge da assolvere: l’obiettivo non era se la sua efficacia in termini di comportamenti e saperi acquisiti, ma il conseguimento di un attestato.
Da qualche anno, complice la necessità di allargare la formazione anche alla quotidiana attività produttiva sempre più legata a continui cambiamenti organizzativi e tecnologici, si fa più attenzione ai suoi contenuti. E si è aperto un nuovo fronte che coinvolge le società che la erogano, i docenti, le metodologie adoperate e le direzioni aziendali.

È chiaro che il lungo periodo precedente, quello della formazione-obbligo normativo, ha tenuto in piedi strutture abituate a guardare al programma, alla presenza, qualche volta all’esame finale e molto poco alle metodiche formative e quindi all’efficacia dell’insegnamento. Ci sono intere filiere formative che ancora oggi si basano su un tipo di rapporto professore-alunno ereditato dalle istituzioni scolastiche, come se la platea fosse composta da poco più che adolescenti. Questo mondo sembra non essere sfiorato dalle nuove modalità comunicative.
E un altro elemento forte sta emergendo: anche dove si adottino metodiche fortemente orizzontali, partecipate, con strumenti come immagini, film, interazione, giochi, non per questo si raggiunge l’efficacia desiderata. Manca ancora qualcosa, e cioè la condivisione tra formazione e la realtà aziendale.

Un lavoratore ben formato e correttamente motivato (ciò a cui ogni corso di formazione dovrebbe tendere), una volta tornato in azienda può NON trovare un ambiente aperto a recepire le “novità” apprese. In azienda si corre, ci sono mille pressioni interne ed esterne, i preposti e dirigenti hanno altro a cui pensare e il lavoratore, a volte lo stesso Rls, si trovano con in mano nozioni, pensieri, metodiche rifiutate dalla stessa comunità lavorativa, e quindi impossibili da applicare.

In alcune occasioni si è cominciato a ridurre la distanza tra formazione e realtà del lavoro utilizzando case study concreti e peculiari. A partire da filmati girati sullo stesso posto di lavoro, si esaminano i punti critici sui quali intervenire per correggere o risolvere. È un metodo che in considerazione del taglio su misura dato alla formazione risulta essere più impegnativo e costoso, ma che ottiene risultati strepitosi specie in quelle aziende in cui tutti, dall’Imprenditore all’ultimo assunto, sono convinti che l’azienda è perfetta e non c’è nulla da cambiare, o se c’è non si può fare, o forse costa troppo. Si può scoprire che non è tutto vero e che margini di miglioramento ci sono e sono percorribili.

A volte a questa si affianca un’altra idea: quella di erogare la formazione non in aule esterne, ma dentro le stanze o nei capannoni dove si svolge il lavoro.

Il pregio di queste e altre “forme” è quello di smettere di privilegiare l’impostazione teorica dei programmi “ministeriali” da travasare nelle teste dei lavoratori, e partire invece dalla cultura, dall’organizzazione, dai comportamenti reali, concreti, quotidiani per esaminarli alla luce, ora sì, della normativa e delle esperienze più avanzate.
La formazione non si svolge più tra una testa “sapiente” e una vuota, ma tra teste pensanti aperte al nuovo.

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