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La colpa e la responsabilità: due concetti sovrapponibili?

L’immagine di copertina è un’opera dell’artista polacco Krzysztof Wodiczko


Nell’Angolo Acuto del 19 Settembre 2016 (L’errore e l’esperienza) abbiamo parlato del tema dell’esperienza come base necessaria alla prevenzione così come è previsto a partire dall’art. 2087 del Codice Civile.

Art. 2087 CC
L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Legato a questo aspetto c’è quello della responsabilità, e come vedremo quello della colpa.

Quando accade un infortunio si procede a ricostruire la dinamica dell’avvenimento, partendo dal comportamento dell’infortunato, di quello delle persone che eventualmente erano presenti o collaboravano con lui, per definire infine le rispettive responsabilità in base alle modalità procedurali e organizzative indicate (quando e se) ai lavoratori presenti sul luogo dell’accaduto.

In una intervista apparsa tempo fa su Punto Sicuro, Attilio Pagano, Presidente dall’Associazione italiana Non Technical Skill, diceva:

Nel linguaggio comune, anche quello di ambito giuridico, si tende ad usare la parola “colpa” e la parola “responsabilità” in modo sostanzialmente interscambiabile. In realtà una distinzione è possibile ed è vantaggiosa e ci porta a riconoscere che la colpa chiama in causa l’elemento del comportamento e delle scelte di qualcuno nell’avere favorito il verificarsi di un evento avverso. La responsabilità invece chiama in causa la propensione nel comportamento a migliorare le cose.

Quindi aggiungeva:

Poi nel sistema giuridico c’è una complicazione in più (…) che è quella che assimila la colpa di avere commesso qualcosa per procurare un danno alla colpa di non avere fatto degli obblighi che avrebbero potuto evitare il danno. Cioè il concetto di colpa nel codice penale è quello che rende equivalenti l’avere agito per procurare un danno con il non avere fatto le cose di un soggetto obbligato, di un titolare di una posizione di garanzia (…). Quindi mette sullo stesso piano le azioni e le omissioni. Sulle azioni c’è poco da dire: se io ti procuro un danno sono sicuramente colpevole e devo pagare. Sulle omissioni conviene riflettere perché un conto è l’omissione di un comportamento specifico – non ho fatto qualcosa che la legge in modo chiaro circoscrive e identifica – un’altra cosa è l’omissione di non avere fatto una prestazione cognitiva. Ad esempio ho omesso di prevedere. La previsione è una prestazione mentale difficile da rimproverare a qualcuno. Perché nel momento in cui gliela rimprovero io so come le cose sono andate a finire, ma nel momento in cui le doveva prevedere, lui non sapeva come le cose sarebbero andate a finire.
Questa differenza nel giudizio della rimproverabilità, tra il momento di quando rimprovero e di quando il comportamento deve essere attuato, è una differenza che gli psicologi cognitivi hanno ben identificato come la circostanza del “pregiudizio del senno di poi”.
Probabilmente gli ispettori e i giudici dovrebbero di più considerare che sono nelle condizioni più favorevoli per rimproverare a qualcuno di non avere previsto, di quanto non siano le persone quando dovevano prevedere.
La previsione non è sempre possibile, non è sempre facile… .

In sostanza, dice Pagano, un conto è l’aspetto giuridico che si orienta a trovare un colpevole, e un altro conto è il lavoro che va fatto nell’esaminare un caso reale per capirne i meccanismi messi in atto e costruire le condizioni per prevenire che la stessa dinamica si ripeta. Da questo punto di vista le tante teorie che ricercano l’errore nel comportamento del singolo risultano nella gran parte dei casi fuorvianti. Questo per il semplice motivo, dice giustamente Pagano, che:

l’operatore individuale in un contesto socio-tecnico raramente è pienamente libero di agire. È sempre soggetto alle influenze delle interazioni con gli altri. Ad esempio nella vicenda Costa Crociere rimane un solo imputato, il Comandante Schettino. Ma se io mi accontento di punire Schettino ma non vado anche a identificare tutto ciò che aveva creato quella normalizzazione della devianza nella conduzione delle navi crociera sempre più vicino alle coste, lascio le condizioni immutate perché si ripresentino questo tipo di incidenti.

Il comportamento del singolo all’interno di una azienda, in un contesto organizzato e disciplinato, non è quasi mai dettato dalla associazione di liberi pensieri individuali. È piuttosto influenzato dalle procedure previste, dall’orientamento proprio cultura aziendale (rigorosa, frettolosa, attenta ai rischi, disattenta ai rischi, ecc.),  alla cultura del gruppo di lavoro intorno al lavoratore (“siamo i migliori e quindi quello che facciamo da anni è ben fatto”, “ gli altri si fanno male comportandosi così, ma noi no”, ecc.). Quest’ultima cultura è imprescindibilmente legata a quella aziendale, che tollera, incoraggia, condivide e così via, lo sviluppo di un certo tipo di orientamento piuttosto che altri.

Poter ricostruire in modo non episodico, non limitato al comportamento del singolo, non basato, nel caso dei mancati incidenti, sul “meno male nessuno si è fatto male”, offre molte più possibilità di predisporre una accurata prevenzione. Migliora la cultura interna, le relazioni e l’organizzazione.

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