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Formazione: forma o sostanza?

Gli obblighi di legge riguardanti la sicurezza che gravano sul datore di lavoro sono spesso vissuti come mere formalità. Cose che vanno fatte perché lo dice la legge, documenti che vanno prodotti e che vanno conservati per evitare multe e sanzioni. Alcuni obblighi però, più di altri, sono tutt’altro che formali. Tra questi obblighi “di sostanza” vi è senza dubbio l’obbligo formativo.

Non è molto che le disposizioni normative hanno stabilito con precisione e completezza le modalità di attivazione, i parametri minimi (contenuti, durata) dei corsi di formazione obbligatori per le diverse figure aziendali (lavoratori, preposti, dirigenti). Tali norme e misure (1) non hanno tuttavia negato o sostituito il principio che richiama il datore di lavoro all’obbligo di fornire “una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza”.

Anche per la formazione, infatti, come per molti altri obblighi di legge, il TU richiama a criteri di tipo qualitativo (quali ad esempio i termini “sufficiente” ed “adeguata”), che, affiancando le norme di carattere quantitativo o tecnico, fanno diretto riferimento alla dimensione, quasi etica, della “responsabilità” del datore di lavoro.

In altre parole adempiere agli obblighi sulla sicurezza costringe ad assumersi la responsabilità di valutare, scegliere, decidere, approfondire, anche al di là ed oltre di indicazioni o prescrizioni di legge, più o meno precise e circostanziate. Decidere ed assumersi la responsabilità che le misure prese siano effettivamente “sufficienti ed adeguate”.

Il caso della formazione è, in questo senso, più di altri, emblematico. Esso rappresenta, nella prassi diffusa, il modo spesso sbagliato con cui ci si rapporta con i temi della prevenzione. In molti casi, infatti, gli obblighi formativi, anche quando formalmente e tempestivamente assolti, vengono considerati come un momento separato ed aggiuntivo rispetto all’attività di valutazione dei rischi ed elaborazione delle misure di prevenzione e protezione aziendali. In moltissimi casi (anche nelle situazioni aziendali più attente e diligenti) il corso è un momento formale di trasmissione di informazioni il più delle volte generiche: spesso il docente è una professionalità esterna all’azienda e raramente incontra il Rspp per concordare un programma formativo aderente alla realtà aziendale, visionare il DVR e costruire un percorso realmente calato sulla realtà aziendale.

Se per le aziende a basso rischio le conseguenze di questa separatezza di momenti vengono in qualche modo attutite dalla generalizzabilità dei rischi presenti, nei settori a rischio più alto (aziende industriali, imprese edili, ecc.) la genericità dei contenuti formativi diviene quanto mai grave.

Tale “scollamento” delle fasi di elaborazione ed erogazione della formazione dai processi di prevenzione aziendale è ancora più evidente quando si tratti di preposti e dirigenti, investiti da precise responsabilità, sostanziali ancor prima che giuridiche.

Eppure la legge parla chiaro:

La trattazione dei rischi (…) va declinata secondo la loro effettiva presenza nel settore di appartenenza dell’azienda e della specificità del rischio (…). I contenuti e la durata sono subordinati all’esito della valutazione dei rischi effettuata dal datore di lavoro (…) e vanno pertanto intesi come minimi. Il percorso formativo e i relativi argomenti possono essere ampliati in base alla natura e all’entità dei rischi effettivamente presenti in azienda, aumentando di conseguenza il numero di ore di formazione necessario.

Uno dei mezzi con cui il legislatore ha cercato di garantire il reale perseguimento di tali obiettivi è stato l’obbligo di impostare i corsi di formazione ed i contenuti degli stessi chiedendo la collaborazione degli Enti Bilaterali / Organismi Paritetici di riferimento per settore di attività ed ambito territoriale.

Pur scontando l’iniziale impreparazione reciproca dei datori di lavoro da un lato e di molti degli Enti bilaterali dall’altro, anche su questo versante la prassi si è spesso consolidata nell’assolvimento di un atto formale di comunicazione, cui gli E.B / O.P. dovevano rispondere entro 15 giorni, pena il silenzio assenso.

Anche quando le procedure sono state maggiormente dettagliate e formalizzate e si è cominciato a stabilire modalità specifiche per la richiesta di collaborazione, in molti casi tale richiesta si limita a descrivere il progetto dei contenuti formativi in modo generico, riportando pedissequamente l’elenco degli argomenti e dei contenuti citati dall’Accordo Stato Regioni.

Deve essere detto con chiarezza che tale modalità, puramente formale, non è ciò che la legge richiede. Una formazione separata dal contesto aziendale, generica, astratta e derivata in modo meccanico dal testo dell’Accordo non costituisce assolvimento dell’obbligo normativo.

Lo stesso obbligo di aggiornamento (6 ore entro i 5 anni) viene quasi sempre interpretato come un corso di 6 ore da effettuare, se va bene, pochi giorni prima della scadenza del quinquennio, invece di essere un’occasione per aggiornare, come peraltro previsto per legge, la capacità e le competenze dei lavoratori a fronte di novità tecnologiche, del ciclo produttivo, delle distribuzione delle mansioni.

Una corretta ed esaustiva progettazione della formazione aziendale, sui cui sì, allora, richiedere la collaborazione dell’E.B / O.P., si dovrebbe invece basare:

  • sugli esiti della valutazione dei rischi;
  • su di una su una analisi delle criticità aziendali, sia sotto il profilo organizzativo e delle procedure, sia sotto quello delle risorse umane;
  • su di una analisi dei fabbisogni formativi, costruita sulla concreta conoscenza delle dinamiche aziendali e dei programmi di sviluppo;
  • sul reale coinvolgimento nel merito di tutte le figure aziendali e della sicurezza (RLS, Medico Competente, Preposti, Dirigenti);
  • in breve su di una reale programmazione della sicurezza sul lavoro, come una delle dimensioni dinamiche di gestione dell’efficienza aziendale.

Fino a che la formazione sarà vissuta soltanto come un obbligo di cui liberarsi, se possibile delegato a figure esterne, da archiviare una volta superato e da riprendere dopo 5 anni, a perderci saranno tutti: datori di lavoro e lavoratori. I primi esponendosi a rischi maggiori in termini di infortuni e di sanzioni; i secondi rimanendo impreparati di fronte alla infinita variabilità delle condizioni lavorative. E tutti, ed è forse la cosa più rave a lungo termine, sempre più convinti che organizzare e andare in formazione sia, sotto sotto, solo una perdita di tempo e denaro.

Note:
(1) Accordo del 21 dicembre 2011 tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano per la formazione dei lavoratori ai sensi dell’art. 37, c. 2, D.Lgs. 81/08.
(2) Art.37, D.Lgs. 81/08 e s.m.i., d’ora in avanti TU.

 

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