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Consiglio di Stato, Sentenza 10 giugno 2016, n. 2500

Rapporto di lavoro – Accesso agli atti del procedimento ispettivo – Diniego


Fatto e diritto

1. – Con ricorso RG 760 del 2015, il signor A.P. ha impugnato il provvedimento della Direzione Territoriale del Lavoro di Cagliari, n. 40610 del 5 agosto 2015, che ha respinto la sua istanza di accesso agli atti relativi al procedimento ispettivo svolto nei confronti del suo datore di lavoro, la «L.C. S.r.l.».

L’istanza ha riguardato una vicenda riguardante lo svolgimento del rapporto di lavoro.

Il giorno 23 aprile 2014, mentre si recava al lavoro, l’appellato ha subito un infortunio, a seguito del quale ha riportato gravi lesioni personali.

Il datore di lavoro non ha denunciato l’infortunio all’INAIL, in quanto in quel periodo egli non era titolare di alcun contratto di lavoro; il signor P. ha quindi provveduto in via autonoma a presentare la denuncia, ma l’Istituto ha comunicato che il procedimento sarebbe stato riaperto solo all’esito degli accertamenti in corso da parte della Direzione Territoriale del Lavoro (in seguito D.T.L.).

Il ricorrente ha quindi inoltrato alla medesima Direzione una istanza di accesso agli atti ispettivi, al fine di depositare tali atti presso l’INAIL e di ottenere la riapertura del procedimento.

La D.T.L. ha dapprima differito l’accesso e poi, con il provvedimento di data 5 agosto 2015, impugnato in primo grado, ha respinto l’istanza, rilevando che gli atti richiesti sarebbero sottratti all’accesso ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera d), e dell’art. 3, comma 1, lettera d), del D.M. 4 novembre 1994, n. 757 (regolamento del Ministero del Lavoro sulle categorie di atti sottratti al diritto d’accesso): la loro ostensione avrebbe determinato, infatti, un pregiudizio al diritto alla riservatezza della L.C., interesse che sarebbe stato prevalente rispetto a quello del lavoratore a ricevere copia degli accertamenti ispettivi.

Inoltre, il diniego di accesso ha ritenuto che gli atti richiesti non sarebbero stati indispensabili a fini della tutela giudiziaria degli interessi del ricorrente, «tenuto conto del contenuto degli stessi, meramente definitorio di questioni sanzionatorie in materia lavorativa …involgenti il solo rapporto Pubblica amministrazione – Ditta datrice di lavoro».

2. – Il diniego emesso in data 5 agosto 2015 è stato ritualmente impugnato dal signor P. innanzi al TAR per la Sardegna che, con la sentenza n. 164 del 2016, ha accolto il ricorso.

Il T.A.R. ha infatti rilevato che «il diritto di accesso ai documenti detenuti dall’amministrazione, nell’ipotesi in cui venga esercitato per la finalità costituita dalla tutela giuridica degli interessi del richiedente, ovvero, comunque, al fine di valutare l’esistenza di margini per poter procedere a iniziative di tutela rispetto a interessi giuridicamente rilevanti, non soffre di particolari limiti o condizioni. L’art. 24, comma 7, della L. n. 241/90 prevede, infatti, che in queste ipotesi l’accesso sia sempre garantito, salvo che si dimostri che i documenti amministrativi richiesti contengano dati sensibili e giudiziari (…). Il che, nel caso di specie, non ricorre, non essendo sufficiente ad escludere l’accesso prospettare ragioni di riservatezza (non meglio specificate) attinenti all’impresa coinvolta negli accertamenti ispettivi».

3. – Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha proposto appello avverso la sentenza del TAR, deducendo la violazione dell’art. 2, comma 1, lett. c) del D.L. n. 757/94, nonché dell’art. 24, commi 6 e 7, della L. 241/90.

Il Ministero ha sostenuto che, in base al regolamento ministeriale, emesso ai sensi dell’art. 24, comma 4, della L. 241/90, sono sottratti al diritto di accesso « i documenti contenenti le notizie acquisite nel corso dell’attività ispettiva, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico dei lavoratori o di terzi».

A sostegno della propria tesi, il Ministero ha invocato la sentenza del Consiglio di Stato n. 863/2014, rilevando che, anche nel caso in cui l’istanza di accesso provenga dal lavoratore, e non dal datore di lavoro, non sarebbe comunque possibile accordare l’accesso, perché i lavoratori devono essere messi in condizione di collaborare con le autorità amministrative e giudiziarie, senza temere ritorsioni nell’ambiente di lavoro in cui operano: essendo le parti deboli del rapporto di lavoro, essi dovrebbero essere tutelati nella loro riservatezza.

Il Ministero ha quindi chiesto la riforma della sentenza appellata previa concessione della tutela cautelare monocratica.

4. – Con decreto presidenziale n. 999/2016 è stata sospesa l’esecutività della sentenza di primo grado, al solo fine di mantenere inalterata la situazione di fatto.

4.1 – Con memoria depositata il 7 aprile 2016, l’appellato ha eccepito l’inammissibilità dell’appello sotto diversi profili, chiedendone il rigetto.

4.2 – Alla camera di consiglio del 28 aprile 2016 l’appello è stato trattenuto in decisione.

5. – L’appello è infondato e va dunque respinto.

5.1 – Ritiene la Sezione di poter prescindere dall’esame delle molteplici eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa dell’appellato, poiché l’appello risulta infondato.

5.2 – A sostegno della propria impugnativa, il Ministero ha invocato l’art. 2, comma 1, lett. c), del D.M. n. 757/1994 posto a tutela della riservatezza dei lavoratori.

Tale disposizione, però, non preclude in via assoluta l’accesso ai verbali ispettivi, bensì limita il diritto di accesso ai « documenti contenenti le notizie acquisite nel corso dell’attività ispettiva, quando dalla loro divulgazione possono derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico dei lavoratori o di terzi»: la sottrazione all’accesso di tali atti in materia di lavoro postula che risulti un effettivo pericolo di pregiudizio per i lavoratori o per i terzi, sulla base di elementi di fatto concreti, e non per presunzione assoluta (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 11 febbraio 2011, n. 920; Cons. Stato Sez. VI, 10 febbraio 2015, n. 714).

5.3 – L’infondatezza delle deduzioni del Ministero appellante si desume dalle stesse sue osservazioni sulla ratio della sopra richiamata normativa.

Tale ratio è quella di tutelare i lavoratori ed i terzi che collaborino in sede ispettiva per far emergere irregolarità nella gestione del rapporto di lavoro.

Occorre infatti evitare che i lavoratori (o i terzi) possano subire ritorsioni da parte del datore di lavoro (tanto è vero che la durata del divieto è sottoposta al limite temporale della durata del rapporto di lavoro: cfr. art. 3, comma 1, lett. c) dello stesso D.M. 4 novembre 1994 n. 757).

Questa disposizione è stata dunque introdotta nel sistema a tutela del lavoratore e non a suo danno, come pretenderebbe invece l’amministrazione appellante.

5.4 – Peraltro, nel caso di specie, l’appellato ha rilevato che manca anche la prova di possibili pregiudizi a carico dei dipendenti che abbiamo reso dichiarazioni in sede ispettiva, tenuto conto che tutti i dipendenti assunti nel periodo del suo impiego non lavorano più all’interno della L.C. s.r.l. perché licenziati o non soggetti a rinnovo del proprio contratto.

L’Amministrazione avrebbe dunque dovuto valutare se la divulgazione dei verbali ispettivi sarebbe stata idonea a ledere la posizione dei soggetti che hanno reso le dichiarazioni in sede ispettiva.

6. – L’appello va dunque respinto perché infondato.

7. – Le spese relative al giudizio di appello seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Respinge l’appello RG 2314/2016 e, per l’effetto, conferma la sentenza n. 164 del 2016 del T.A.R. per la Sardegna.

Condanna l’amministrazione appellante a rifondere all’appellato le spese del giudizio di appello, che liquida in complessivi € 1.000,00 (mille/00), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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