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Cassazione Penale, Sez. 4, 23 settembre 2016, n. 39499

Infortunio di un muratore. Posizioni di garanzia di fatto.


Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: TANGA ANTONIO LEONARDO
Data Udienza: 14/07/2016

Fatto

1. Con la sentenza n. 3246 del 05/11/2015, la Corte di Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza appellata, riconosciute a tutti gli imputati le attenuanti generiche ritenute prevalenti sull’aggravante contestata, rideterminava la pena inflitta a T.S., M.A. e M.A.V. in mesi 2 di reclusione e la pena inflitta a F.C. in mesi 1 di reclusione, eliminava le statuizioni civili e confermava nel resto la sentenza del Tribunale di Torino, in data 07/11/ 2013, con la quale prospettandosi una loro cooperazione colposa, con condotte indipendenti, determinante nella causazione dell’infortunio occorso il 11/03/2010 ai danni di K.J., muratore dipendente della ditta EDILIZIA 2M, gli imputati erano stati condannati alla pena di mesi 4 di reclusione ciascuno.
2. Avverso tale sentenza d’appello, propongono ricorso per cassazione M.A.V. e T.S., a mezzo dei propri difensori, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all’art.173, comma 1, disp. att. c.p.p.):
M.A.V.:
I) violazione di legge in relazione agli artt. 62-bis, 113, 590, commi 2 e 3, c.p., 96, comma 1, lett. g, 151, comma 2, 150, commi 1 e 2, D.Lgs. 81/2008. Deduce che la Corte di Appello ha omesso di considerare che il reato colposo per cooperazione con condotte indipendenti richiede la sussistenza di un nesso causale tra la condotta effettivamente tenuta dall’agente e l’evento in concreto verificatosi mentre, nella specie, manca in capo all’imputato l’investitura formale a cui ricondurre la «posizione di garanzia»;
II) vizi motivazionali in ordine alla riconduzione della figura di «contitolare di fatto della ditta Edilizia 2M». Deduce che il M.A.V., all’epoca dei fatti, era dipendente della “Edilizia 2M” e svolgeva il ruolo di capocantiere;
III) vizi motivazionali in ordine alla applicabilità in concreto delle norme costituenti elementi di colpa specifica. Deduce che nella parte di fabbricato in cui si è verificato l’infortunio non vi era e non doveva essere in corso alcuna lavorazione e quindi non sorgeva neppure l’esigenza di aggiornare il POS (per quanto riguarda il profilo riguardante M.A. e M.A.V.) agli specifici lavori di demolizioni da compiersi;
IV) mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis c.p. in via di prevalenza sulla contestata aggravante.
T.S.:
V) violazione di legge e vizi motivazionali. Deduce che la Corte territoriale ha omesso di motivare, o ha motivato in modo contraddittorio e manifestamente illogico, in ordine alla doglianza della difesa relativa alla prova della sussistenza del rapporto di causalità tra la condotta omissiva contestata al T.S. in qualità di responsabile della ditta affidataria dei lavori e l’evento infortunistico occorso alla persona offesa. Afferma che T.S. era solito effettuare sopralluoghi sui cantiere per decidere il da farsi e che nella fattispecie aveva chiaramente stabilito che nella stanza dell’Infortunio le solette avrebbero dovuto essere demolite in un secondo momento; ad avviso della difesa, quindi, la causa da sola sufficiente a spiegare il tragico evento è da identificare nell’ordine che il K.J. ebbe dal proprio datore di lavoro M.A. di recarsi in quel luogo ad effettuare attività di demolizione, giacché è verosimile che il lavoratore si sia attenuto ad ordini impartitigli dal proprio datore di lavoro, non spiegandosi altrimenti la sua presenza in quel luogo intento a rimuovere piastrelle.

Diritto

3. Occorre premettere che i ricorrenti ignorano le analitiche ragioni esplicitate dal giudice di appello per rigettare analoghi motivi di gravame.
3.1. La Corte territoriale ha, in vero, fornito puntuale spiegazione del ragionamento posto a base della propria sentenza procedendo alla coerente e corretta disamina di ogni questione di fatto e di diritto. Va, ancora, rammentato che le sentenze di primo e secondo grado si compenetrano in un unica motivazione, versandosi in ipotesi di sostanziale c.d. “doppia conforme”.
3.2. Quanto alla manifesta illogicità della motivazione, è consolidata in giurisprudenza la massima secondo cui la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito propone effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione è compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento. Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la modificazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006 consente la deduzione del vizio del travisamento della prova là dove si contesti l’introduzione, nella motivazione, di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (Sez. 4, n.49361 del 04/12/2015). E ciò nella specie non è.
3.3. Il ricorso per cassazione deve, infatti, rappresentare censura alla sentenza impugnata, criticandone eventuali vizi in procedendo o in iudicando; esso, quindi, non può consistere in una supina riproposizione delle doglianze espresse con l’appello, ma deve consistere in una critica alle ragioni in fatto o in diritto sulla cui scorta il secondo giudice ha ritenuto di dover disattendere il gravame (sez. 4 n. 44139 del 27/10/2015).
4. Ciò detto, può passarsi allo scrutinio dei motivi degli odierni ricorsi.
5. In replica ai motivi sub I) e II) (da trattarsi congiuntamente poiché logicamente avvinti) mette conto osservare che M.A.V., a giudizio della Corte del merito (e come, per altro, pure sostenuto nell’odierno ricorso, v. pag. 4) svolgeva le funzioni di capocantiere con incontestato ruolo direttivo e di preposto all’interno della ditta “E.” (v. pagg. 14 e 15 della motivazione).
5.1. La Corte territoriale ha, sul punto, riaffermato che le posizioni di garanzia relative ai datori di lavoro, dirigenti e preposti gravano altresì su colui che, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti stessi, citando il dictum delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9874 del 01/07/1992, e riportandosi al principio testualmente e positivamente previsto dall’art. 299 del D.Lgs. n. 81/2008 in tema di esercizio di fatto di poteri direttivi.
5.2. Con tale norma il legislatore ha, invero, codificato il principio di effettività, elaborato dagli interpreti, al fine di individuare i titolari della posizione di garanzia, secondo un criterio di ordine sostanziale e funzionalistico. In altri termini, l’individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale (cfr. sez. 4, n. 10704 del 19/03/2012).
5.3. Dalla sopra richiamata disciplina normativa si desume il principio secondo il quale il titolare di una posizione di garanzia (nella specie il ricorrente) ha il dovere di attuare tutte le misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa.
5.4. Di qui l’infondatezza delle doglianze in parola.
6. In riferimento al motivo sub III), deve osservarsi che, quanto alla rilevanza delle eventuali condotte negligenti ovvero imprudenti riferibili al dipendente infortunato, occorre rimarcare che, nell’ambito della sicurezza sul lavoro emerge la centralità del concetto di rischio, in un contesto preposto a governare ed evitare i pericoli connessi al fatto che l’uomo si inserisce in un apparato disseminato di insidie. Rispetto ad ogni area di rischio esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare; il “garante è il soggetto che gestisce il rischio” e, quindi, colui al quale deve essere imputato, sul piano oggettivo, l’illecito, qualora l’evento si sia prodotto nell’ambito della sua sfera gestoria. Proprio nell’ambito in parola (quello della sicurezza sul lavoro) il D.Lgs. n. 81 del 2008 (così come la precedente normativa in esso trasfusa) consente di individuare la genesi e la conformazione della posizione di garanzia, e, conseguentemente, la responsabilità gestoria che in ipotesi di condotte colpose, può fondare la responsabilità penale.
6.1. Nel caso che occupa l’imputato (nella qualità descritta ai precedenti punti 5., 5.1., 5.2 e 5.3) era uno dei gestori del rischio e l’evento si è verificato nell’alveo della sua sfera gestoria; la eventuale ed ipotetica condotta abnorme del lavoratore non può considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento poiché essa non si è collocata al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. In altri termini la complessiva condotta del lavoratore non fu eccentrica rispetto al rischio lavorativo che i garanti (tra cui anche il ricorrente M.A.V.) erano chiamati a governare (cfr. Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014 Rv. 261108).
6.2. Nulla, poi, è emerso che possa lasciar presumere che il rispetto delle norme cautelari violate non fosse concretamente esigibile dal M.A.V., nelle condizioni date.
6.3. Nella specie, come ineccepibilmente valorizzato dalla Corte del merito, «deve dirsi pacifico che K.J. si fosse recato nella stanza del terzo piano per espletare attività lavorativa e non per curiosità, di nascosto o per altro comportamento illegittimo. Posto che egli aveva con sé gli strumenti di lavoro, accingendosi ad iniziare l’attività, avendo per di più chiesto al compagno D. delle assi necessarie all’attività»; tale attività lavorativa veniva, dalla vittima, svolta «in una stanza dalla soletta obsoleta, su cui non era stata fatta alcuna valutazione dei pericoli di crollo ed in cui nessuno doveva entrare, senza che venissero allestite misure di sicurezza collettive. Poco rilevando invece che egli dovesse rimuovere le piastrelle, piuttosto che demolire la soletta. Laddove, peraltro, come indicato dalla p.o., l’una è attività propedeutica alla seconda. Né, ed il dato è estremamente rilevante ai fini della decisione, può dirsi provato che l’area fosse interclusa, come invece sostenuto dagli appellanti. Posto che l’accesso ai luoghi effettuato subito dopo l’incidente dal tecnico Spresal non ha indicato l’esistenza di alcuna barriera di interclusione, tanto che l’ispettore B. aveva elevato una specifica prescrizione sul punto. Nessun elemento documentale, ed in particolare il giornale dei lavori, riporta poi l’esistenza di tale inibizione o anche del semplice divieto di accesso, come sarebbe dovuto accadere se il divieto di accesso fosse realmente esistito».
6.4. Ne deriva l’infondatezza anche della doglianza in questione.
7. Inammissibile, infine, il motivo sub IV) posto che all’imputato sono state riconosciute, così come da lui richiesto, le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti.
8. Quanto al motivo sub V), valgono le considerazioni già svolte ai precedenti punti 6., 6.1., 6.2. e 6.3..
8.1. Non appare ultroneo ribadire che, nel caso che occupa l’imputato T.S. (procuratore speciale della impresa affidataria ES., che in tale ruolo aveva partecipato all’intera attività di gestione ed organizzazione del cantiere, anche nei momenti prodromici all’effettivo inizio dei lavori) era uno dei gestori del rischio e l’evento si è verificato nell’alveo della sua sfera gestoria.
8.2. Il giudicante del merito ha, quindi, correttamente valorizzato, tra l’altro, che «Egli, infatti, aveva partecipato alle riunioni tenute prima dell’inizio dei lavori ed era tra i destinatari delle mail inviate dagli ingegneri O. e M., che evidenziavano le carenze della valutazione dei rischi e della sicurezza e che intimavano di non iniziare i lavori. Ciò che rende incontestabile e provata la condotta omissiva e negligente in imputazione. Laddove, come indicato dal Tribunale, oltre alla certa genericità ed insufficienza dei POS della appaltatrice e di E., il dato temporale delle vicende indica che nei fatti T.S. mancò di porre in essere una qualche verifica su quest’ultimo… Né era stata effettuata una valutazione della vetustà dell’Immobile e del rischio di crollo… Posto che in presenza di una seria valutazione dello stato di vetustà dell’area, l’accesso avrebbe dovuto essere consentito solo dopo la realizzazione di mezzi di sicurezza collettivi. In costanza dei quali l’evento non si sarebbe verificato».
8.3. Va, infine, rimarcato quanto già detto al punto 6.3. che precede: «Né, ed il dato è estremamente rilevante ai fini della decisione, può dirsi provato che l’area fosse interclusa, come invece sostenuto dagli appellanti. Posto che l’accesso ai luoghi effettuato subito dopo l’incidente dal tecnico Spresal non ha indicato l’esistenza di alcuna barriera di interclusione, tanto che l’ispettore B. aveva elevato una specifica prescrizione sul punto. Nessun elemento documentale, ed in particolare il giornale dei lavori, riporta poi l’esistenza di tale inibizione o anche del semplice divieto di accesso, come sarebbe dovuto accadere se il divieto di accesso fosse realmente esistito».
8.4. Nulla, poi, è emerso che possa lasciar presumere che il rispetto delle norme cautelari violate non fosse concretamente esigibile dal T.S., nelle condizioni date.
8.5. Di qui l’infondatezza del motivo in scrutinio.
9. Conclusivamente, una volta accertata la legittimità e la coerenza logica della sentenza impugnata, deve ritenersi che i ricorsi pongono solo una prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta argomentatamente propria dai giudicanti e nell’offerta di una diversa (e per i ricorrenti più favorevole) valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio (sez. 6, n. 13170 del 06/03/2012). Questioni, queste, che sfuggono al sindacato di legittimità.
10. S’impone, pertanto, il rigetto dei ricorsi cui segue, per legge, la condanna alle spese.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14/07/2016

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